Giotto e la strage degli innocenti

L’arte e la rappresentazione dei piccoli incolpevoli davanti alla cattiveria degli uomini

L’immagine del piccolo Mohammed di sedici mesi morto, con la faccia rivolta nel fango, per fuggire ad una terribile strage di pulizia etnica che si sta consumando nella Birmania, ha richiamato subito alla mente un’altra tragica immagine, quella del piccolo Aylan, anche lui morto per sfuggire alla guerra. Un dramma nel dramma, una tragedia tanto cruenta quanto terribile. E sono numerosissimi i bambini che muoiono a causa delle guerre, della miseria e della disperazione, una vera e propria strage degli innocenti.

Talvolta anche l’arte ha cercato di rappresentare la sofferenza di questi piccoli individui, incolpevoli davanti alla cattiveria degli uomini. Forse l’artista che più di tutti è riuscito a tradurre quel senso di estremo di dolore e disperazione attraverso una raffigurazione toccante e coinvolgente è stato Giotto, attraverso la rappresentazione dell’episodio della “Strage degli innocenti”, nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Quando giunse a Padova, nel 1303, chiamato da Enrico Scrovegni il maestro era un artista affermato e pienamente maturo, cosciente della rivoluzione linguistica che stava proponendo attraverso il suo stile e la sua tecnica. Giotto univa ad una rara abilità interpretativa, che gli permetteva di tradurre gli episodi biblici in immagini particolarmente suggestive, la capacità di rappresentare anche la vasta gamma di emozioni che animano i personaggi, dando una forte carica di umanità e rendendo così le vicende sensibilmente vere e reali. L’episodio della “Strage degli innocenti” è tra i più commoventi e carichi di pathos. L’artista riesce a suddividere la scena in più momenti, in più nuclei rappresentativi concatenati tra loro ed uniti dalla carica dei sentimenti, poiché tutto è concitato, vorticoso e sembra addirittura imminente e reale. Sulla parte sinistra ci sono le madri, che attraverso gesti estremi cercano protezione, pietà e preghiera, cercano di trattenere a sé i propri piccoli, di salvare loro la vita; dall’altro le guardie del re, fredde e aggressive, che invece, con moto opposto a quello delle povere donne, cercano di strappare e trucidare i bambini; fino al perfido gendarme in posizione centrale che viene rappresentato mentre colpisce con una lancia acuminata proprio un piccolo innocente. Ma lo scontro non è solo fisico, ecco la grande abilità di Giotto, quello che è in atto è soprattutto lo scontro tra i sentimenti umani: la cattiveria delle guardie, dai volti corrucciati e dalle espressioni aggrottate, che il maestro definisce attraverso profili rigidi e visi freddi; e quello del dolore delle donne, raffigurate con volti piangenti, gli occhi socchiusi dalla sofferenza e rivolti in parte verso il cielo, anelito di grazia divina.

Giotto dipinge sul volto delle donne le lacrime, lacrime nere che rigano il volto, nere perché nascono da un dolore troppo intenso, che segna in maniera indelebile il viso e oscura in segno di lutto eterno il loro animo. E infine c’è il sentimento della crudeltà, che ha le sembianze di Erode, assiso dalla sua finestra che guarda l’atroce delitto che si consuma alla sua mercé, quasi con compiacimento e liberazione; all’espressione facciale si accompagna l’imperativo ordine del braccio teso verso la folla. Infine c’è l’emozione che assale lo spettatore, che assiste impotente al dramma che entra nella storia dell’umanità. Giotto da grande artista, cercò di rendere l’episodio rappresentato il più vero possibile, ponendo i corpi ammassati dei piccoli bambini in primo piano; evidentemente ha voluto evidenziare, in un gesto di estrema compassione e profonda partecipazione, le vittime della cattiveria umana, i bambini di oggi e di ieri: inermi, deboli, indifesi e soprattutto innocenti.