Francesco all’Angelus: “L’autorità nasce dal buon esempio, per aiutare gli altri a praticare ciò che è giusto e doveroso, sostenendoli nelle prove che si incontrano sulla via del bene. L’autorità è un aiuto, ma se viene esercitata male, diventa oppressiva, non lascia crescere le persone e crea un clima di sfiducia e di ostilità, e porta anche alla corruzione”.
Umiltà contro il cattivo esercizio dell’autorità. Papa Francesco, all’Angelus domenicale, fa suo un passo della preghiera di san Bernardo alla Vergine, contenuta nel 33mo canto del Paradiso della Divina commedia di Dante: la vergine madre è “umile e alta più che creatura”. Con le letture siamo ancora a Gerusalemme, e quello che leggiamo in Matteo è l’ultimo discorso di Gesù, prima di quello apologetico. Sono i suoi ultimi giorni di vita, e ancora una volta il suo obiettivo sono gli scribi e i farisei, e le parole che dice sono una dura condanna verso quanti hanno in mano le leve del potere. Negli anni della vita terrena di Gesù gli scribi si distinguevano quali insegnanti della legge, ma, in verità, non riconoscevano i veri problemi e i bisogni del popolo. Come i farisei – che si vantavano ipocritamente di essere giusti – gli scribi davano più importanza a regolamenti cavillosi e tradizioni che a misericordia, giustizia e fedeltà; avevano un atteggiamento di superiorità, e, soprattutto, non davano per primi l’esempio. Ecco perché Gesù dice alla folla e ai suoi discepoli di “praticare e osservare” tutto quanto scribi e farisei dicono, ma di non agire secondo le loro opere “perché essi dicono e non fanno”. E c’è una sorta di continuità nelle letture di questa domenica: il profeta Malachia denuncia il peccato dei sacerdoti che disprezzano il Signore offrendo “cibo impuro”, mentre il culto a Dio deve essere puro e celebrato con il cuore. Paolo, nella lettera rivolta alla comunità di Tessalonica, lo scritto più antico, paragona il suo ministero a quello di una madre, di un padre che ha cura dei propri figli. Così Gesù, racconta Matteo, afferma che uno solo è il Maestro, il Padre. Parole che suonano come un forte richiamo alla coerenza di vita cui sono tenuti tutti i cristiani.
Critiche severe, dunque, che sono anche importanti consegne ai cristiani di tutti i tempi, e, in sostanza, anche a noi, dice il Papa. Parole che non sono uno scagliarsi contro tutto e tutti, ma piuttosto su coloro che, in quel tempo, erano al comando, cioè quanti, tra scribi e farisei, si sono seduti sulla cattedra di Mosè.
Dice Francesco: “un difetto frequente in quanti hanno un’autorità, sia autorità civile sia ecclesiastica, è quello di esigere dagli altri cose, anche giuste, che però loro non mettono in pratica in prima persona. Fanno la doppia vita”. Leggiamo in Matteo: “legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”. Il riferimento è alla funzione assunta da scribi e farisei, cioè spiegare la legge e interpretare i precetti, ma appesantendoli con prescrizioni legali minuziose così da creare pesi e fatiche da far sopportare soprattutto al popolo.
Ecco il cattivo esercizio dell’autorità, dice Papa Francesco ai 40 mila presenti in piazza san Pietro per l’Angelus. L’autorità, invece, “nasce dal buon esempio, per aiutare gli altri a praticare ciò che è giusto e doveroso, sostenendoli nelle prove che si incontrano sulla via del bene. L’autorità è un aiuto, ma se viene esercitata male, diventa oppressiva, non lascia crescere le persone e crea un clima di sfiducia e di ostilità, e porta anche alla corruzione”.
Nel denunciare i comportamenti negativi di scribi e farisei – “si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze” – Gesù mette in guardia i discepoli: “non fatevi chiamare rabbi, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. […] E non fatevi chiamare guide, perché uno solo è la vostra guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo”. Come discepoli di Gesù “non dobbiamo cercare titoli di onore, di autorità o di supremazia”, spiega Francesco che si dice addolorato nel vedere “persone che psicologicamente vivono correndo dietro alla vanità delle onorificenze”. Siamo tutti fratelli, afferma ancora il Papa, “e non dobbiamo in nessun modo sopraffare gli altri e guardarli dall’alto in basso. Se abbiamo ricevuto delle qualità dal Padre celeste, le dobbiamo mettere al servizio dei fratelli, e non approfittarne per la nostra soddisfazione e interesse personale”. Una lezione valida ieri come oggi.