La forma più abituale della preghiera? È la domanda

La forma più abituale della preghiera è la domanda. A dirlo non è certo un testo qualunque: così difatti recita il Catechismo della chiesa cattolica al n. 2629, che di seguito aggiunge: «proprio con la preghiera di domanda noi esprimiamo la coscienza della nostra relazione con Dio». Come a dire: chiedendo, riconosciamo a Dio la sua Signoria e – come fa un figlio con il padre – ci rivolgiamo a Lui confidando nel Suo amore e così ribadendo, ogni volta, l’intima ed indissolubile relazione fra Creatore e creatura.

Se, dunque, la preghiera più spontanea che nasce nel cuore di ognuno è questa, sino a che punto può spingersi l’uomo nel chiedere al Padre? È la Parola che fa luce su tale interrogativo con il Vangelo, laddove è Gesù stesso a porre due condizioni essenziali affinché chi si rivolge a Lui e al Padre venga ascoltato: chiedere con fede (Matteo, 21,22) e chiedere nel suo nome (Gv 14,13-14; 15,16; 16,23). Per il resto, il Nazareno è esplicito: «qualunque cosa chiederete, la farò».

Tuttavia, dinanzi alla misteriose vie del Padre, è Gesù stesso a dare per primo l’esempio quando nel Getsemani, nell’ora della prova suprema, rivolge una preghiera di domanda a Dio chiedendo che «passi il suo calice» per poi subito aggiungere «non come voglio io, ma come vuoi tu».

Dunque, in buona sostanza, Sacre scritture e magistero della chiesa sono concordi nell’affermare che tale preghiera sia non solo assolutamente lecita ma, anzi, la più naturale e spontanea nel rapporto con il Padre alla cui Signoria e insondabile volontà, tuttavia, è rimesso ogni potere di esaudire le richieste dei suoi figli.

D’altronde, tutta la storia della Chiesa è caratterizzata da questa preghiera. Su di essa si fonda e da essa è permeato il ruolo delle figure più importanti della cristianità, a partire da Maria Santissima: la Vergine è colei a cui la Chiesa, innanzitutto, e poi i fedeli, sono chiamati ad affidare le loro richieste perché interceda innanzi al Figlio Suo diletto.

«Ad Iesum per Mariam», si suole dire: una verità incontrovertibile, per un credente, di cui la storia dell’umanità – dalla venuta di Gesù in poi – porta tracce indelebili. E ciò sin dal 40 a.C. allorché Maria – ancora vivente – fu trasportata in Spagna e lì, nell’odierna Saragozza, su un saldo pilastro confortò San Giacomo perché proseguisse nella sua opera di evangelizzazione.

Nacque così la venerazione della Virgen del Pilar e proprio lì, a Saragozza, il Signore esaudì una preghiera di domanda di un giovane contadino di Calanda Miguel Juan Pellicer allorché – il 29 marzo 1640 – gli fu miracolosamente restituita la gamba destra, amputata due anni prima e sepolta nel cimitero dell’ospedale. Neanche un anno dopo, a seguito di un rigoroso processo canonico, il fatto fu proclamato ufficialmente – il 27 aprile 1641 con una sentenza dell’arcivescovo di Saragozza.

Nessuna differenza con Lourdes, Fatima e Medjiugorie, dunque, dove milioni di fedeli sono andati e vanno tutt’oggi a rivolgere le loro (spesso) disperate preghiere di domanda affinché la vergine – che in quei luoghi apparve e appare – le presenti al Padre perché le esaudisca.

Lo stesso può ovviamente affermarsi per tutti grandi santi della cristianità, spesso chiamati con appellativi che ne identificano tali straordinari carismi: chi non conosce santa Rita da Cascia, detta “l’avvocata dei casi impossibili” o il meno noto San Giuda Taddeo (che pure era il Giuda “buono” fra i discepoli di Gesù) detto il Patrono dei casi disperati, il Santo degli impossibili? Oppure Giuseppe di Nazareth, colui che in terra ha custodito i più preziosi tesori del Padre e a cui lo stesso non potrà mai dire di no?

Se allora tutto ciò accade ed è permesso da Dio, cosa vieta all’uomo di rivolgersi al Padre affinché – come lo stesso è sollecitato nel concedere le grazie per la salute del fisico e dello spirito – conceda lo stesso nella natura, di cui è il Creatore e Signore?

Se chiedere a Dio “ad petendam pluviam” che Egli conceda a terre riarse e distrutte dagli incendi il bene più prezioso che ha donato all’uomo, l’acqua, è segno di paganesimo e di somiglianza alle antiche tribù panteistiche (nota è la “danza della pioggia” degli indiani d’america), allora perché non dire lo stesso delle richieste di grazie che gli uomini – senz’altro più egoisticamente – chiedono per sé, per la propria salute e la propria vita?

La risposta, chiara e netta, la da ancora il Catechismo della chiesa cattolica:«Quando si condivide in questo modo l’amore salvifico di Dio, si comprende come ogni necessità possa diventare oggetto di domanda. Cristo, che tutto ha assunto al fine di tutto redimere, è glorificato dalle domande che noi rivolgiamo al Padre nel suo nome. È in forza di questa certezza che Giacomo e Paolo ci esortano a pregare in ogni circostanza» (2633).

Se poi ciò è attestato dal Magistero, che con papa Liberio ne stabilì il rito, è evidente come le parole di don Aldo Antonelli contro don Domenico siano senza alcun fondamento e, anzi, tali da suscitare dolore e dispiacimento in una Chiesa che nell’amore e nell’unità deve e dovrebbe riconoscersi, come dice papa Francesco, che il 25 settembre del 2013, citando il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, afferma: la Chiesa Cattolica sparsa nel mondo «ha una sola fede, una sola vita sacramentale, un’unica successione apostolica, una comune speranza, la stessa carità» (n. 161). E poi si chiede:«ci sono delle ferite a questa unità? A volte sorgono incomprensioni, conflitti, tensioni, divisioni, che la feriscono, e allora la Chiesa non ha il volto che vorremmo, non manifesta la carità, quello che vuole Dio. Siamo noi a creare lacerazioni! Occorre cercare, costruire la comunione, educare alla comunione, a superare incomprensioni e divisioni, incominciando dalla famiglia, dalle realtà ecclesiali».

La promessa di obbedienza, per un sacerdote che ottiene il sacramento dell’ordine, è forse quella più difficile da mantenere: ma senza di essa questa unità va in frantumi, con grave scandalo dei piccoli.

«Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!» (Matteo, 18,6-7).