Fascino millenario. Una nuova edizione del Vangelo di Giovanni

Nuova edizione del Vangelo di Giovanni, con il testo greco a fronte, curata da Renzo Infante

“Sembra maggiormente convincente l’ipotesi che il testo del quarto vangelo sia il risultato di redazioni multiple, anche a opera dello stesso evangelista (Discepolo amato)”.

Il fascino sprigionato da alcuni passi del vangelo di Giovanni ha attraversato i secoli: soprattutto il fatto di essere stato scritto dal “discepolo amato” dal Signore ha caricato il quarto vangelo di una tensione a parte, rispetto ai Sinottici. Ora è possibile leggerlo con accanto il testo greco originale e con accurate note, sia filologiche che esegetiche, in “Giovanni. Introduzione, traduzione e commento” (San Paolo, 494 pagine, a cura di Renzo Infante). L’occasione è delle più importanti, perché avere a portata di mano il testo originale, anche per chi non ha grande dimestichezza con il greco antico, significa poter considerare la maggiore o minore vicinanza alla fonte da parte del testo italiano, e nello stesso tempo gustare la particolare capacità sintetica di una lingua che senza svolazzi retorici riesce comunque a comunicare emozione e senso del mistero a distanza di millenni. Con qualche chiarimento da operare rispetto ad alcune notazioni del curatore che afferma come “la prosa del Vangelo, pur essendo molto solenne, risulti priva di grande liricità”. Dipende da cosa intendiamo per liricità, e d’altronde lo stesso Infante, subito dopo, aggiunge che “il linguaggio dei discorsi raggiunge una monotona grandiosità con la ripetizione di parole semplici e con l’uso di vocaboli non letterari”. In realtà poesia e linguaggio letterario non sempre vanno d’accordo: la ripetizione, assieme alla semplicità, sono spesso alla base della grande poesia. Il Cantico dei Cantici, per rimanere in ambito biblico, raggiunge, assieme all’Ecclesiaste, cime inarrivabili, ripercorse con ammirazione e devozione dai grandi, Dante ed Eliot in primis. E in effetti alcuni passi del quarto vangelo conservano ancora oggi dei lampi di autentica, semplice e spoglia poesia, circondata da un’aura di millenario mistero, come quando Gesù afferma: “Padre, voglio che coloro che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, affinché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato, e cioè che mi hai amato prima della fondazione del mondo”; parole in cui precipitano l’amore e nel contempo l’enigma, la fascinazione dell’inizio senza tempo, della presenza di un disegno originario in cui si manifestava una compassione, nel senso etimologico di soffrire-con, sprofondata nelle radici della vita e del destino universale. La traduzione qui ci dà la possibilità di “scarnificare” alcuni passi, di ritrovare il peso solenne e insieme spoglio di parole che riescono a manifestare unicità, sacralità e estraneità alle tecniche retoriche.

Questa edizione pone anche il problema, come abbiamo visto in apertura, dell’attribuzione del quarto vangelo. Il curatore segue la scuola di pensiero che attribuisce ad un seguace di Cristo il centro nevralgico dello scritto, stilato nella sua maggior parte da “una persona di formazione culturale elevata al tempo di Gesù” attorno al quale si è formata nel tempo una comunità che ha poi terminato lo scritto, con l’ultimo capitolo, dopo la morte del “discepolo amato”.

In ogni caso, a prescindere dalla inesausta ricerca sulla persona e sulle fonti, rimane inalterata la fascinazione di un testo che ha ammaliato generazioni e generazioni non solo di esegeti, ma di poeti e scrittori. E soprattutto di gente comune, che, nonostante tutto, ha intuito le profondità nascoste dietro quelle apparentemente semplici parole.