Le riflessioni del vescovo Lucarelli a margine della settimana sociale dei cattolici di Torino.
La settimana sociale dei cattolici italiani di Torino (12-15 settembre), dedicata alla famiglia, è stata una grande opportunità per la Chiesa italiana e per quanti vi hanno preso parte.
Le analisi svolte dai relatori e il lavoro all’interno dei gruppi di studio hanno esaminato la condizione delle famiglie italiane in concreto sotto molteplici aspetti e hanno offerto numerosi spunti e proposte per affrontare i gravi problemi che investono la famiglia, da quelli affettivi, a quelli economici, da quelli legislativi a quelli relazionali e pratici.
Sembra di poter sottolineare soprattutto alcuni aspetti che sono decisivi per la tenuta dell’istituto familiare nel futuro, e quindi della società tutta intera. Anzitutto la rilevanza pubblica della famiglia fondata su coppie eterosessuali stabili, e non solo come fatto privato o frutto di scelte non significative per lo Stato.
Essa, quale cellula della società, “serve” allo Stato, anzitutto come luogo per la trasmissione della vita, poi come fenomeno anche economico, come santuario degli affetti in cui si sviluppa il ruolo educativo dei grandi verso i piccoli, come palestra di vita, come interlocutore primario nei confronti delle istituzioni.
È anche emerso, con note diffuse di amarezza e delusione, come i nostri politici, molti dei quali si dichiarano solennemente e pubblicamente cattolici, abbiano, nei fatti, maltrattato la famiglia fondata sul matrimonio, malgrado la Costituzione, con leggi che hanno tutelato di più le coppie di fatto e i diritti dei singoli e dei separati, piuttosto che le legittime esigenze, soprattutto economiche ma non solo, di famiglie e di coppie regolarmente sposate (non solo col matrimonio concordatario, s’intende); si pensi che è stato evidenziato che aumentano in modo esponenziale le separazioni fittizie per avere agevolazioni fiscali. Si consideri che solo il 4% della nostra spesa pubblica per i servizi sociali viene destinata alla famiglia, a fronte del 8% degli altri Paesi europei, che hanno legislazioni meno favorevoli alla famiglia eterosessuale. Ne è emerso che la nostra è una cultura politica dei grandi proclami a cui non seguono fatti coerenti, cioè azioni politiche ed economiche conseguenti.
Questo è molto grave, se si tiene conto che i nostri parlamentari sono in gran parte (sedicenti) cattolici.
L’impegno della Chiesa deve essere finalizzato non solo a coprire le mancanze dello Stato, perché non ha le risorse e non è il suo specifico e unico compito, anche se il presidente del Consiglio Letta non ha potuto che riconoscere il ruolo avuto dalle Caritas nei confronti dei bisognosi in questo periodo di crisi, ma questo impegno deve indirizzarsi soprattutto ad una formazione dei giovani e delle coppie all’affettività e alla famiglia che comporti uno sguardo complessivo alla vita di relazione e non solo alla dimensione teologica o sacramentale.
In questo senso non è secondaria una formazione peculiare di operatori pastorali e sacerdoti in questi ambiti specifici. In sintesi, sembra di poter dire che in questi ultimi decenni si sia investito poco sulla famiglia, in termini di risorse e di formazione, rispetto a quanto era necessario, e si sia invece molto investito su pronunce di principio, rimaste vuote.
È necessario tornare a lavorare nelle nostre diocesi e parrocchie in favore della famiglia, con il sostegno e la vicinanza alle situazioni di crisi, che però non bastano, piuttosto con iniziative pastorali non occasionali o celebrative, ma progettuali, formative, di lunga durata e di ampio respiro, se vogliamo che la società e la Chiesa siano veramente costituite da cellule primarie, quali le famiglie, che siano, nella realtà, sane e non malate.
In questo senso l’anno per la famiglia, che ho indetto nella nostra diocesi di Rieti, si pone come momento di riflessione e di proposta, ma anche di innovazione di quelle pratiche pastorali che non hanno sortito, ad oggi, significativi effetti.