Europa e classi dirigenti, non sottovalutino la fiammata dei “forconi”

Il sociologo Paolo Feltrin non fa sconti: “Dopo 6 anni di crisi qualsiasi occasione per manifestare il malessere incontra il favore, indipendentemente che parta da destra o da sinistra”. Scavalcate le organizzazioni: “Le associazioni tengono ma poi appena la piena sale, gli argini non reggono più e il fiume dilaga”. La proposta: “Bisogna assolutamente rinegoziare il fiscal compact con l’Unione europea”

Il movimento dei “forconi” ha messo in ginocchio mezzo Paese nella giornata di lunedì. Da Nord a Sud stazioni ferroviarie, imbocchi di autostrade, centri nevralgici alle porte delle città sono stati “presidiati”, cioè occupati da decine di autotrasportatori e piccoli imprenditori arrabbiati contro le tasse, la burocrazia, i lacci che a loro dire impediscono di sopravvivere. Ci sono stati anche episodi di violenza qua e là, come a Torino, e in altre località. Per decifrare quanto è accaduto, il Sir ha intervistato il sociologo Paolo Feltrin, che insegna alla facoltà di Scienze politiche dell’università di Trieste.

Come valutare la manifestazione dei “forconi”, una riedizione un po’ più strutturata e diffusa di quella dello scorso anno, o c’è qualcosa di diverso?

“Di sicuro c’è qualcosa di diverso, nel senso che è evidente che dopo 6 anni di crisi qualsiasi occasione per manifestare il malessere incontra il favore, indipendentemente che parta da destra o da sinistra. Metterei sullo stesso piano, e penso non stupisca, la votazione alle primarie per Renzi, dove è chiaro che è andata a votare più gente rispetto agli iscritti e ai sostenitori del Pd. Ciò per dare un segnale del malessere e di critica delle classi dirigenti di questi 20 anni. C’è stanchezza generalizzata nel Paese, c’è bisogno di risposte e qualsiasi occasione è buona. Qualche mese fa era il voto a Grillo. Sono tutti fenomeni che sono sintomi della stessa problematica: una crisi che non finisce e che miete sempre più vittime”.

I “forconi” confermano che la società italiana è in fermento ormai a diversi livelli. C’è un messaggio solo economico o anche politico negli eventi italiani?

“Non è capitato in tutto il ‘900 e neanche nel ‘29 di avere sei anni di crisi continuata. L’anno prossimo sarà il settimo. Ci si dovrebbe porre semmai la domanda contraria: come mai solo adesso arrivano i ‘forconi’ e non prima? In altre epoche storiche il disagio si sarebbe manifestato in modo molto più rapido e intenso. Più che stupirci della manifestazioni di oggi, lo stupore è per il fatto che non si sia manifestato prima, e ciò senza giustificare in alcun modo la violenza. È evidente che ci vuole un cambio di passo nell’azione delle classi dirigenti. Non si può continuare così per altri 5-6 anni, con la crescita sotto zero o vicina alla zero. O si trova qualche soluzione al problema italiano rapidamente oppure è inevitabile che questo marcisca e produca fenomeni come questo, se non peggio. In un certo senso movimenti di questo genere sono salutari perché mostrano alle classi dirigenti che è il momento di fare qualcosa. Per Renzi è andata a votare gente che col Pd non c’entrava nulla. Occorre cambiare passo in chiave europea, altrimenti proprio il voto delle Europee in primavera rischia di trasformarsi in una sorta di sottoscrizione di massa contro l’Europa, una sorta di certificato di massa del disagio anti-Europa. E potrebbe diventare un plebiscito”.

A suo avviso le misure fiscali e tributarie del nostro Stato sono davvero troppo pesanti, oppure è la nostra economia che manifesta arretratezze e sacche di inefficienza che le impediscono di evolvere e far fronte alla crisi generalizzata?

“Di per sé non è la tassazione né il livello della spesa pubblica al 50% del Pil il problema, perché la troviamo così in quasi tutti i Paesi europei e anche nel resto del mondo. Anche la pressione tributaria più o meno la troviamo allineata alla nostra. La questione sta in due altre questioni drammatiche: primo la composizione della spesa pubblica italiana centrata sugli interessi e non sugli investimenti, perché in tal caso ci tornerebbe come sviluppo privato che genera nuove entrate. Da noi invece prevale la spesa per pensioni, sanità, che genera poco sviluppo. Il secondo problema è l’eccesso di interessi sul debito. Il fatto che spendiamo ogni anno 80-90 miliardi per interessi è drammatico. È una posta che ammazzerebbe chiunque”.

I “forconi” possono essere considerati una nuova lobby?

“È un classico movimento che manifesta disagio e protesta. Semmai va osservato che scavalca e travolge l’azione delle organizzazioni di rappresentanza di interessi di artigiani, commercianti e imprenditori. Le associazioni tengono ma poi appena la piena sale, gli argini non reggono più e il fiume dilaga. Sotto questo profilo le associazioni datoriali sono in difficoltà. Non vedrei quindi la cristallizzazione dei ‘forconi’: sono destinati ad avere una fiammata e poi a spegnersi. Importante è capire cosa vogliono dire, un malessere che non può più essere trascurato. Sotto questo profilo il loro è un capo di accusa per l’azione di governo. O questo cambia passo, oppure il tentativo di dare la camomilla al Paese rischia di non avere più effetti, anzi di generare ribellione e violenza”.

Come uscire da questa situazione che lei ha definito “drammatica”?

“Bisogna assolutamente rinegoziare il fiscal compact con l’Unione europea. Così com’è non si va da nessuna parte. Se l’Europa vuole massacrare un Paese come l’Italia faccia pure. Lo strangolamento continuo però non ha senso. O l’Europa accetta di comprendere le ragioni dei Paesi ‘periferici’, oppure è meglio trovare soluzioni alternative, che non sono facili e risolutive. Infatti con soluzioni tipo euro 1 ed euro 2 magari si respirerebbe per un po’, ma poi si ricadrebbe nei problemi. Ciò che serve è iniziare seriamente a vendere patrimonio pubblico, a recuperare efficienza nella spesa pubblica e nella burocrazia. Non ci sono alternative a questo ‘compito a casa’ che dobbiamo fare quanto prima e con decisione. Ma occorre che l’Europa ci lasci respirare un po’”.