Accumoli ha ricordato le vittime del terremoto del 2016 nel segno della memoria e della speranza. Nel pomeriggio, nella scuola dell’area Sae, il vescovo Vito ha presieduto la celebrazione eucaristica dopo aver reso omaggio ai caduti al monumento con il rintocco della campana e la lettura dei nomi. Con lui hanno concelebrato padre Carmelo e il parroco don Stanislao, davanti a una comunità numerosa e partecipe.
In apertura della celebrazione, animata come quella mattutina ad Amatrice dal coro con l’Accademia Vicino Accumoli, il sindaco ha invitato a «essere testardamente positivi» di fronte alle difficoltà della ricostruzione. Chi in passato ha creduto e seguito con ostinazione i processi – ha spiegato – spesso ha avuto ragione dalla storia. Per questo oggi si vedono frazioni più avanti e frazioni più indietro: ma è la dimostrazione che l’impegno non è mai vano.
Il vescovo ha ripreso questo filo, legandolo alla veglia vissuta la sera precedente a Terracino, e sottolineando che la ricostruzione non può limitarsi alle case o alle strutture. «La ricostruzione – ha detto – riguarda anzitutto la vita. Se non riparte la vita, avremo domani dei contenitori vuoti. La nostra comunità, talvolta dispersa, deve ritrovarsi nel desiderio di vivere insieme, lasciandosi guidare dal Vangelo».
Al centro dell’omelia, l’immagine della “porta stretta” che Gesù propone ai discepoli: «È un invito a sforzarsi, a non cedere all’illusione di salvarsi da soli. Lo sforzo di cui parla il Vangelo è comunitario, plurale: nessuno può dire “da solo ce la faccio”. La porta si attraversa insieme».
Il vescovo ha insistito sul valore del sacrificio e della determinazione: «Tutto ciò che di buono riusciamo a fare porta con sé il peso specifico del sacrificio. Senza questa dimensione, nulla acquista valore. Viviamo in un tempo in cui ci si accontenta di salvare solo se stessi, ma così si riduce l’orizzonte. Per costruire un futuro abbiamo bisogno di una società che sappia avere uno sguardo materno, capace di prendersi cura di chi resta indietro».
Rivolgendosi ai presenti, monsignor Vito ha aggiunto: «Abbiamo bisogno di far crescere la fiducia, contro i tanti che dicono “non ne ricaverai nulla”. Invece, nelle relazioni più vere, scopriamo che il guadagno non è economico ma d’amore. Non siamo chiamati a essere supereroi: siamo chiamati a essere noi stessi, capaci di piccoli gesti che aprono futuro».
Parole che hanno trovato eco nel silenzio raccolto e nella memoria dei nomi pronunciati poco prima. Parole che hanno dato forma a quella “testarda positività” evocata dal sindaco. Non un ottimismo di facciata, ma un esercizio di resistenza e di fede, per non lasciare che la ricostruzione diventi solo un fatto edilizio e non anche un cammino di vita.
In questo intreccio tra memoria e responsabilità, Accumoli ha scelto di guardare avanti. Non per dimenticare, ma per affermare – ostinatamente – che la vita è più forte delle macerie.