Chiesa di Rieti

Essere accompagnati nella fede

Nella sua riflessione dopo il rosario di ieri sera, il vescovo Domenico si è soffermato sulla figura del padre spirituale: «Colui che aiuta a sviluppare una relazione cosciente e affettiva con Dio, una risorsa di oggettività che penetra dentro il nostro io accompagnandolo senza preconcetti, ma con ascolto ed empatia»

La fede è una scelta personale, ma non solitaria, perché si ha bisogno di essere accompagnati.

Ma «chi è l’accompagnatore o il padre spirituale?». Così si è aperta la riflessione del vescovo Domenico, dopo il rosario di mercoledì sera.

«È uno che ti aiuta a sviluppare una relazione cosciente e affettiva con Dio. Non ha, dunque, una funzione psicologica e neanche la funzione di migliorare la tua vita morale. Il suo servizio è essenzialmente la relazione con Dio. In questo senso il padre spirituale non si mette al posto di, ma al servizio di».

«E cosa fa il padre spirituale?»

Il padre spirituale è colui che «esercita la compassione, cioè l’ascolto e ancor prima l’empatia, che è una oggettività senza preconcetti».

Proprio «come un medico che non sente ripugnanza davanti alla sofferenza ne’ alla putrefazione. Niente si può mutare di ciò che non si accetta. Condannare non libera, ma opprime».

Ma «ciò non significa che non si debba mai giudicare».

Avere un padre spirituale è fondamentale, perchè «è una risorsa di oggettività perché nessuno è buon medico di se stesso e si ha bisogno di un tu che penetri dentro la nostra intimità. Si ha bisogno di un maieuta, cioè di uno che sa tirare fuori di noi il meglio».

In conclusione, monsignor Pompili attinge ai suoi ricordi: «Mi vien da pensare al mio antico padre spirituale; uno senza del quale probabilmente non sarei qui. Si chiamava padre Rosin, anche se tutti affettuosamente lo chiamavano zi’ prete. Era un gesuita, un filosofo e pure un poeta, come si ricava dal suo testamento spirituale che descrive esattamente la sua precoce scomparsa, avvenuta il 29 aprile 1991, così come l’aveva sempre desiderata».

Tu l’hai letto o Signore

tra le pieghe del mio spirito

il mio ultimo sogno: morire in silenzio,

uscire dal mondo in punta di piedi!

È un sussurro d’un cuore sereno

che canta sommesso tra i molti fragori

d’un mondo in subbuglio.

È un profumo di fiore nascosto

che accarezza i gelidi venti dei miei mesi invernali.

Vorrei uscire dal mondo come una larva di servizio

che da una sala di convito

quando tutti sono allegri

chiamata altrove s’ecclissa, frettolosa, inosservata silenziosa…

Vorrei uscire dal mondo come una figura amica

che da una stanza d’ospedale quando tutti sono assopiti finito il suo turno

scompare, senza saluti senza sorrisi in punta di piedi

(Mario Rosin – marzo maggio 1972).