Effatà!
L’imperativo del Maestro compie un miracolo. D’incanto si aprono i padiglioni auricolari e si scioglie il nodo che serrava la gola del sordomuto. Quest’uomo non ha un nome perché ci rappresenta tutti. Dice la nostra incapacità di parlare e ancor prima di ascoltare. È curioso: mentre la tecnologia continua a stupirci con nuove possibilità di contatto la capacità di comprendersi sembra venir meno e così quella di capirsi e di camminare insieme. La missione della Chiesa, quella di sempre, è rendere possibile ogni volta di nuovo questo miracolo: restituire a ciascuno la parola e ancor prima la disponibilità ad ascoltarsi. Infatti “ogni vita vera è incontro” (M. Buber) e fuori da questo si diventa facile preda dell’isolamento e dello scoraggiamento.
In questa Chiesa di Rieti fino ad oggi il ‘manutentore’ della comunicazione del Vangelo è stato il vescovo Delio e con lui i presbiteri, i diaconi, le religiose e i religiosi, tanti laici, donne ed uomini. A loro va il mio grazie sincero nel momento in cui assumo l’onere e l’onore della guida pastorale. Una guida che sarà fatta soprattutto di ascolto, di accoglienza, di vicinanza, di cammino comune. Testimoni di questa mia intenzione, vi chiedo sin da ora di aiutarmi a tenervi fede.
Apriti!
La parola di Gesù è perentoria perché la sordità è una possibilità fisica, ma più di frequente una condizione psicologica e spirituale. “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, ci diciamo tra il serio e il faceto. E forse è questa condizione di incomunicabilità una fotografia attendibile del nostro tempo, dove ognuno si sente più solo, schiacciato dal proprio quotidiano, incapace di cogliere che siamo tutti sulla stessa barca. Siamo un po’ sordi e, dunque, spaesati, tante volte sulle difensive. Ma la fede è l’antidoto più efficace a questa confusione delle lingue, a questo senso di estraneità reciproca perché Dio è sempre per strada con noi a rimuovere i nostri ostacoli. E lo fa nella concretezza delle nostre vite: con dei gesti fisici perfino urticanti, che l’evangelista Marco si premura di precisare. Gesù, infatti, mette le sue dita nelle orecchie e, addirittura, si avvicina con la saliva delle sue labbra alla bocca dell’uomo. Come a dire che bisogna restituire fiducia all’altro, esporsi al contatto imbarazzante, dare atto di una vicinanza del cuore, di una carezza della mano prima che della parola. L’Anno della Misericordia, indetto da papa Francesco – che ancora una volta intendo ringraziare per la fiducia – il Giubileo che sta per aprirsi vuol essere simbolicamente una rimessa a fuoco di questa verità che è una via molto concreta da percorrere. Esiste un tempo per ricominciare, aperto a tutti! Non basato sulle nostre timide ed incerte capacità, ma sull’iniziativa di Dio, perché “ogni inizio è involontario. Dio è l’agente”, riconosceva persino uno spirito inquieto come Pessoa.
L’uomo deve solo aprirsi, schiudendo la porta della sua incomunicabilità. Diventeremo così pronti a percepire e a sentire come nostro il grido dei disoccupati che non mancano neanche a Rieti, il grido degli immigrati che continuano ad approdare nel nostro Paese, il grido degli ammalati, il grido dei carcerati (e qui in prima fila ce n’é qualcuno!), il grido dei giovani, degli adulti, delle donne e degli uomini. Quando l’ascolto accade l’azione viene da sé. Si potrebbe dire: «Agere sequitur obaudire», cioè è inevitabile!
“Hai fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti”
Se posso inserirmi in questa lode – per chiudere – vorrei proclamare anch’io con stupore da quanti sono stato aiutato a crescere nella fede e nell’esperienza umana. Vorrei partire dalla mia famiglia: dai miei genitori dai quali ho imparato l’ascolto quando da bambino di notte li sentivo confabulare a letto, a lungo e sempre con rispetto e tenerezza. Ma vorrei anche dire di mia sorella Elisa e di mio fratello Marco che mi hanno insegnato la priorità dell’agire sull’interpretare. E poi i miei educatori, in particolare p. Mario Rosin S.J.; i miei vescovi, in particolare mons. Belloli di cui porto il pastorale, e i preti della mia chiesa madre di Anagni-Alatri, le religiose e i religiosi, i laici che ho avuto la fortuna di incontrare in questi anni: ad Anagni e a Vallepietra, ad Alatri e a Roma, in giro per l’Italia. Non senza far riferimento alla straordinaria opportunità che è stato il servizio in seno alla Conferenza Episcopale Italiana, per cui ringrazio – volendo includere tutti – il Presidente e il Segretario generale della CEI. Ogni incontro è irripetibile e custodisce un suo mistero, ma ogni volta è stato un modo concreto per sottrarsi alla chiusura e al ripiegamento. E si è rivelato una scossa di vita.
Ora si comincia a Rieti. Sono fiducioso che gli incontri e le cose da fare si moltiplicheranno. Ho la sensazione di gente solida che ha a che fare con problemi concreti in un contesto suggestivo e vivibile. E che ha tanto da dare e da condividere.
Desidero, insieme a tutti, credenti e non credenti, lavorare per crescere insieme. In umanità. Che Dio ci aiuti. Amen!