Chiesa

Don Giussani: testimone di un cristianesimo da protagonisti

In occasione del sedicesimo anniversario della nascita al cielo del Servo di Dio don Giussani, monsignor Massimo Camisasca riflette sull'apporto del carisma del fondatore di Comunione e liberazione nella Chiesa e nel mondo di oggi

“Don Giussani è divenuto realmente padre di molti, ha guadagnato i cuori, ha aiutato a migliorare il mondo, ad aprire le porte del mondo per il cielo”: così nell’omelia della Messa per la morte di Don Luigi Giussani il cardinale Joseph Ratzinger il 24 febbraio del 2005. Da allora il carisma di “don Giuss” è rimasto intatto nei tanti giovani e sacerdoti che ha travolto con la sua passione per Cristo e con il suo modo di vivere il cristianesimo da protagonista, non come fosse un “moralismo” ma come un “incontro”, una “storia di amore”, un “innamoramento in Cristo”. Sono passati 16 anni dalla sua morte e 39 dal riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione (11 febbraio 1982).

In Italia e nel mondo oggi sono decine le Messe previste, presiedute da cardinali e vescovi. “Se saremo fedeli alla grazia che ci ha raggiunti attraverso il carisma di don Giussani – scrive per l’occasione il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione don Julian Carron-  ‘centrati in Cristo e nel Vangelo’, potremo essere ‘braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa in uscita’, collaborando con il Papa al futuro della Chiesa nel mondo, quel futuro preconizzato da Joseph Ratzinger nel lontano 1969: ‘Il futuro della Chiesa può venire solo dalla forza di coloro che hanno profonde radici e vivono con una pienezza pura della loro fede. La Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà agli uomini come la patria, che ad essi dà vita e speranza’. Solo questa novità può essere credibile oggi”.

Nella Cattedrale di Reggio Emilia sarà il vescovo monsignor Massimo Camisasca nel pomeriggio, a celebrare il ricordo del suo insegnante di religione e amico, che ha cambiato la sua vita e il suo cammino di fede. A lui abbiamo chiesto un ricordo e una sottolineatura a sedici anni dalla partenza per il cielo del fondatore di Comunione e Liberazione:

R. – Io ho incontrato don Giussani quando avevo 14 anni, cioè all’inizio delle mie scuole superiori, al liceo Berchet a Milano, dove lui insegnava religione e dove di fatto era iniziata Gioventù studentesca, quella che poi, all’inizio degli anni settanta, sarebbe diventata Comunione e Liberazione. Ciò che mi colpì fu innanzitutto Giussani insegnante, e cioè la sua capacità di mostrare una fede cristiana avvincente e capace di rispondere alle domande degli uomini, soprattutto alle domande più profonde sul senso della vita, sul senso degli affetti, sul senso della conoscenza. Un don Giussani molto combattivo, molto battagliero perché mostrava sia il fascino di Cristo, sia le riduzioni che avvenivano nella società di allora del Cristianesimo come una pura teoria morale o una vita formale. E quindi la sua fu la capacità di dare a noi una proposta avvincente che non ci facesse sentire al carro della storia, ma che invece ci facesse sentire protagonisti, persone “chiamate”. Quindi don Giussani evocava in ciascuno di noi una vocazione: non una vocazione specifica, ma soprattutto la vita come vocazione, cioè la vita come chiamata ad avere un posto importante dentro la società e dentro la Chiesa, un protagonismo della fede. Poi, l’altro aspetto che mi colpì di lui, soprattutto all’inizio oltre al suo insegnamento, fu la sua capacità di radunare i giovani attorno a sè, per condurli a Cristo e quindi il suo mostrare l’aspetto fondamentalmente comunitario della vita cristiana, cosa che oggi forse può colpire meno, ma che allora colpì tantissimo me e e quelli che erano con me.

“Giussani ci fece subito percepire la realtà ecclesiale come una realtà sostanzialmente necessaria per arrivare a Dio.”

Perché il cristianesimo veniva vissuto, soprattutto dai più, come una relazione individuale con Dio e invece Giussani ci fece subito percepire la realtà ecclesiale come una realtà sostanzialmente necessaria per arrivare a Dio. Questi furono i due aspetti che mi colpirono di più all’inizio.Successivamente, accompagnandolo e ascoltandolo, il debito maggiore che ho nei suoi confronti è l’apertura che egli realizzò nella mia vita, l’apertura verso tutto ciò che è bello, verso tutto ciò che è interessante, che è avvincente. La curiosità verso la letteratura, l’arte, la poesia anche verso la scienza e la storia. Insomma un’apertura a 360 gradi che ha accompagnato sempre la mia vita e che mi ha fatto sentire amico di tutti gli uomini, del presente del passato, e non mi ha fatto per niente percepire una estraneità del Cristianesimo alla modernità, ma piuttosto all’opposto, una capacità dei cristiani di essere attuali nella storia del mondo e capaci di portare a tutti gli uomini una speranza e una luce di lettura dell’esistenza.

Possiamo dire un cristianesimo da testimoni e da protagonisti quello che Don Giussani propone?

R. – Testimoni e protagonisti, anzi protagonisti perché testimoni. Protagonisti quindi non nel senso deteriore del termine cioè nel senso del “superuomo”. Anzi, don Giussani aveva grande consapevolezza della fragilità di ogni vita e sentiva che ogni vita è attraversata da ferite, da dolori, da incertezze, ma nello stesso tempo, dal fondo di queste incertezze e di questi dolori, si innalzava un grido a Dio perché si facesse sempre nuovamente compagno della nostra vita e ci rendesse perciò capaci di creare nel mondo un seme visibile di novità.

Quest’anno nelle Messe che si celebrano nel mondo in ricordo don Giussani, verrà pronunciata la seguente intenzione di preghiera: “… chiediamo al Signore una coscienza vigile e grata del dono ricevuto nell’incontro con il carisma di don Giussani per servire sempre meglio la Chiesa…”. Ecco dunque quale aiuto alla Chiesa del presente e del futuro viene dal carisma di don Giussani e di quanti lo hanno ricevuto e lo portano avanti?

R. – Io direi proprio lo sviluppo di quei semi posti all’inizio, cioè: la Chiesa ha bisogno, come Papa Francesco da parte sua richiama spessissimo, di riconoscere che all’origine della propria vita c’è un incontro, un incontro con una persona vivente, quindi che il cristianesimo non è il seguire riti e norme, non è seguire qualcosa di esteriore, ma è soprattutto rispondere a un Dio che si è fatto uomo, che ci viene incontro e che ci mostra come, seguendolo, possiamo ricevere sulla terra 100 volte tanto, e poi la vita eterna. Questo è il primo aspetto: riscoprire continuamente la radice viva della nostra fede, non come una cosa del passato ma come una realtà del presente. L’incontro con Cristo. E in secondo luogo la fisicità di quest’incontro. In questi mesi abbiamo sofferto molto del distanziamento, della perdita di fisicità nel nostro radunarci come cristiani. Penso che don Giussani insegni al presente le strade per una riscoperta della vita comunionale che sempre è una vita comunitaria. Pur con tutte le attenzioni e le distanze che dobbiamo tenere, essa tende sempre ad essere una vita nella storia, espressiva di quella carità che Cristo ha portato nel mondo.

“Ho sempre avvertito in Giussani una passione missionaria che non era affatto proselitismo, ma era un fuoco che bruciava in lui perché Cristo fosse incontrato, conosciuto e amato.”

Inoltre ho sempre avvertito in Giussani una passione missionaria che non era affatto proselitismo, ma era un fuoco che bruciava in lui perché Cristo fosse incontrato, conosciuto e amato. E ci ha fatto capire che la missione non risponde ad una necessità esteriore ma ad una necessità interiore, quella di chi ha incontrato qualcosa di veramente nuovo e decisivo per la sua vita e non può trattenerlo per sé.

I tempi di oggi con le sfide e le problematicità, con le solitudini e le crisi in tanti settori: cosa direbbe Giussani alla realtà dei nostri tempi?

R. – Io cosa direbbe, non lo so esattamente. Penso però che potrebbe dire a ciascuno di noi: “Non sei solo non siete soli, Dio si è fatto uomo per coinvolgersi con la vostra vita, per prendervi per mano, per accompagnarvi oltre il buio e per mostrarvi le tantissime luci presenti nella storia di oggi, nella società di oggi, nella Chiesa di oggi, per riscoprire la bellezza del vostro essere popolo di Dio dentro la storia del mondo”.

Lei prima ha citato il “Verbo fatto carne” centrale per don Giussani, che fa pensare alla ” vicinanza” di Dio di cui Papa Francesco parla tanto spesso. Altra parola chiave per entrambi è la “Misericordia”, l’abbraccio di Dio oltre le nostre debolezze. Cosa può dirci a riguardo anche attingendo ai suoi ricordi personali? 

R. – Posso dire che negli ultimi anni, quelli segnati profondamente dalla malattia, anni molto lunghi e molto dolorosi, il tema della Misericordia, era un tema sempre emergente. Una volta ci disse: “Forse la parola perdono la si può trovare anche nel vocabolario degli uomini, ma la parola Misericordia, non la troviamo. Sta solo nel vocabolario di Dio, solo Lui può insegnarcela. Ecco, gli ultimi anni della sua vita sono stati segnati da un grande sguardo sull’uomo, pieno di pietà, pieno di desiderio che ognuno potesse dal fondo delle proprie miserie e dei propri dolori, riscoprire di non essere solo e che c’è qualcuno che ha già combattuto e vinto per lui e assieme a lui.

Sono trascorsi 16 anni dalla morte di don Giussani. Cosa è cambiato nel Movimento di Comunione e Liberazione? Ci sono sfide nuove e difficoltà da affrontare?

R. – Le  sfide sono nuove sempre perché la fede non è mai un avvenimento del passato e quindi va riscoperta e riproposta ad ogni generazione, anche dentro le mutazioni più profonde. Sono passati 16 anni, ma a me sembrano passati 160 anni da un certo punto di vista e quindi è normale bisogna riproporre la fede in Cristo in relazione a quello che l’uomo vive e scopre oggi, ma nello stesso tempo c’è una perennità di movimento che fa sì che, non solo il cuore dell’uomo rimanga in fondo sempre lo stesso, ma anche le sue attese e i suoi desideri. Io trovo oggi qui, nel mio ministero di vescovo, che nel momento in cui avvicino le persone, esse si aprono e hanno un grande desiderio di poter essere accompagnate.

Le giro perché le commenti le parole di Papa Francesco il 7 marzo 2015 ,durante l’udienza al Movimento di Comunione e Liberazione, su don Giussani. In quell’occasione il Pontefice disse: “Il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo”. Cosa siginifica?

R. – Con queste parole Papa Francesco ha dimostrato di aver colto l’essenza della vita di don Giussani. Egli ha sempre parlato agli uomini avendoli davanti, avendo innanzitutto il desiderio di ascoltarli, di ascoltare le loro attese, le loro domande, di ascoltare la loro umanità, di farsi partecipe della loro umanità e dimostrare che Cristo non è una risposta che arriva appiccicata sulla vita degli uomini ma che si mostra in tutta la sua luminosità dall’interno di ogni nostro grido e di ogni nostra domanda.

da Vatican News