Don Domenico: «la parrocchia è ancora la “fontana del villaggio”»

«Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio». Sono state le parole che Paolo rivolge alla città «cosmopolita, piuttosto vivace sotto il piano economico e commerciale» di Efeso ad offrire lo spunto alla riflessione del vescovo Domenico in occasione dell’anniversario della dedicazione della chiesa di Santa Maria di Vazia. Un brano in cui l’apostolo lascia intendere che «si può vivere un territorio sentendosi come degli ospiti, come turisti di passaggio, o al contrario come dei cittadini, anzi addirittura dei familiari. E questa differenza corre sul filo sottile di una questione: si può appartenere territorio perché la nostra casa è collocata in questo spazio, ma non si diventa necessariamente cittadini, tanto meno familiari, se non scatta accanto all’appartenenza fisica un’altra appartenenza, quella ad una esperienza».

Allora cambia tutto, e non si è semplicemente per caso in un luogo, ma si introduce in questo starci significati che riempiono la vita. Abitare, è molto più che risiedere. In fondo, quando viene edificata una chiesa, è già accaduto che delle persone, già per tante ragioni fisicamente vicine l’una accanto all’altra, sentono di dover esprimere un’altra appartenenza: quella all’esperienza cristiana.

Un qualcosa che secondo il vescovo è stato efficacemente espresso dalla composizione, all’inizio del pomeriggio, di un collage da cui è venuta fuori la sagoma della chiesa, che voltata ha lasciato spazio all’affermazione: “la Chiesa siamo noi”.

Ma «per non farne semplicemente uno slogan – ha ammonito mons. Pompili – dobbiamo intenderci su come esattamente si può passare dall’io al noi». E il passaggio non è affatto scontato: «facciamo una fatica terribile a passare dal “me” al “we”, dalla mia testa e sensibilità, storia, famiglia, al noi di una comunità più ampia che tiene dentro tante sensibilità». Si tratta infatti di una passaggio «possibile solo se ha un fondamento solido». Occorre cioè edificare «avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù», l’unico che «garantisce costantemente al nostro entusiasmo di non essere mai deluso». Gesù «è la pietra senza la quale è davvero velleitario voler costruire una comunità».

Si può arrivare al «noi», si può uscire dall’orizzonte angusto del nostro io se abbiamo qualcosa in comune di molto alto, che non può essere soltanto la simpatia umana, l’eccezionalità di una persona. Può essere solamente la ricerca di Dio. Questo sì che è capace di mettere insieme. Fin quando permane questo desiderio di conoscere Gesù Cristo e di viverne l’esperienza è garantito che si possa passare dall’«io» al «noi».

«E questo “noi” non è mai una sorta di comunità prigioniera di se stessa» ha precisato don Domenico. «La chiesa (e Papa Francesco ce lo sta facendo intendere con grande efficacia) è tale se è in uscita». Una posizione che risuona felicemente con i due “segni” aggiunti sul sagrato di Santa Maria delle Grazie: una fontana e una roccia con accanto la luce. E se la roccia riconduce alla pietra d’angolo, all’uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia del Vangelo, la fontana allude al discorso di Papa Giovanni sulla parrocchia «fontana del villaggio».

E com’è una fontana? Innanzitutto è collocata in un modo che tutti possano accedervi. Ed è di suo assolutamente generosa, non guarda in faccia a nessuno, ma a tutti dona ciò che c’è ha di più prezioso. Quando la parrocchia vive se stessa come tensione verso Dio, e necessariamente verso gli uomini, è una fontana rigenerante. Quando una comunità cristiana è veramente se stessa ed è attenta a quello che succede fuori, diventa veramente un punto di riferimento, veramente riesce ad essere la fontana del villaggio.

Occorre però  che questa fontana dia acqua fresca, cioè sia capace di essere dentro ciò che sta accadendo: «l’esperienza cristiana deve saper “stare sul pezzo”, saper stare dentro i bisogni di adesso non di ieri, confrontarsi con le difficoltà di oggi, non di domani. Fresco vuol dire contemporaneo». Per questo il vescovo ha concluso augurando che la comunità parrocchiale possa essere sempre più se stessa aprendosi «a tutto quanto succede appena fuori la porta».

Foto di Massimo Renzi.