«Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai». Sono le parole di Daniele (Dan 12, 1-3) a guidare la riflessione domenicale del vescovo Domenico. «Parole – ha detto ai fedeli di Amatrice in occasione dei vent’anni della Sezione del Cai – che sembrano descrivere perfettamente lo stato d’animo di queste ore, all’indomani della strage di Parigi dello scorso venerdì. Siamo ancora qui storditi di fronte a tanta disumanità e ci chiediamo: “Che cosa è questa angoscia?”».
Al di là delle analisi appropriate e della divisione tra «falsi buonisti che confondono la violenza gratuita ed imbecille con il rispetto delle altrui culture e scaltri politicanti sempre pronti a soffiare sul fuoco della paura alla ricerca di ritorni elettorali» è la Parola ad offrire «uno sguardo lungo, per niente a buon mercato, ma capace di orientarci in questo dedalo di interpretazioni».
La pagina di Marco (Mc 13, 24-32), spiega mons. Pompili, «altrettanto netta nei toni apocalittici e decisamente drammatica, ci spinge a non fermarci alle apparenze. E ci svela il senso di questo dramma che si sta svolgendo sotto i nostri occhi increduli».
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte» si legge nel Vangelo. «Il Maestro, in realtà, sta facendo riferimento a quello che attende Lui a Gerusalemme, cioè al suo destino di morte e di resurrezione» suggerisce don Domenico: «ogni giorno il mondo muore, ma ogni giorno rinasce. Un mondo sta per essere inghiottito dalla notte, ma c’è un altro mondo che sta per venire alla luce. Molte cose vanno in frantumi, molte altre sono destinate a passare, ma ci sono in corso tante trasformazioni e tante primavere attendono di sbocciare».
Si tratta allora «di individuare piccoli segni, forti di una consapevolezza interiore: Dio non è assente. Questa è la buona notizia che ci garantisce, accompagnandoci passo passo, nonostante la ferocia degli uomini e delle donne. Perché “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. In mezzo alle follie umane solo la fede ci fa restare coi piedi per terra senza smettere di cercare il cielo, senza arrenderci alla brutalità».
Ma non per questo si può stare «semplicemente con le braccia conserte, in attesa degli eventi. Ci è chiesto di essere più rigorosi», ha esortato il vescovo: «Ci è chiesto di non distrarci di nuovo tra qualche giorno, svanito l’effetto choc. Ci è chiesto di vigilare perché si faccia a livello di istituzioni tutto ciò che è urgente per disinnescare il conflitto. Ci è chiesto di non osservare a distanza quello che accade a qualche centinaia di chilometri da noi. Ci è chiesto di non considerare l’immigrazione come un fenomeno passeggero che non deve disturbarci. Ci è chiesto di costruire con gli altri, diversi da noi per fede e per cultura, qualcosa di umano e di sostenibile. Ci è chiesto di essere vigilanti».
«“Il sonno della ragione genera mostri”. Anche il sonno della fede genera tragedie. La fede assopita di chi in nome di Dio pensa di uccidere, bestemmiandolo nella forma più atroce. La fede assopita di chi non se ne cura più e tira a campare, della serie: “A chi tocca. Poverino!” La fede di chi non spera più e si lascia assuefare dal terrore. Chiediamo insieme al Signore – ha concluso don Domenico – che ci indichi specie in questi giorni tristi “il sentiero della vita”» (Sl 15).
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Foto di Francesco Aniballi.