Chiesa di Rieti

Domenica delle Palme, torna la processione in centro

Un evento nella storia che spiazza, divide, solleva prospettive inedite: così il vescovo Domenico ha presentato Gesù rivolgendosi ai tanti che domenica si sono ritrovati nella basilica di Sant’Agostino per il rito della benedizione delle palme

Un evento nella storia che spiazza, divide, solleva prospettive inedite. Così il vescovo Domenico ha presentato Gesù rivolgendosi ai tanti che domenica scorsa si sono ritrovati nella basilica di Sant’Agostino per il rito della benedizione delle palme, per poi raggiungere processionalmente la Cattedrale e partecipare alla Santa Messa. Favorita dal sole primaverile, l’occasione ha visto per la prima volta dall’inizio della pandemia le parrocchie del centro storico della città ritrovarsi in una celebrazione comune.

Un segno d’amicizia dal sapore ben diverso da quello che mons Pompili ha voluto cogliere dalla lettura della Passione secondo Luca: quella che Pilato ed Erode costruiscono sulla ragion di Stato, condannando a morte Gesù, sotto la pressione del Sinedrio.

«Sembra di riavvolgere il nastro della storia umana, che è una galleria degli orrori dove la gente comune è sistematicamente sacrificata come in queste ore tragicamente accade in Ucraina», ha detto mons Pompili, sottolineando come dietro alla guerra «non ci sono ragioni, se non inconfessati interessi mascherati da grandi ideali o da stringenti congiunture». Il risultato è una violenza gratuita, che vede, per usare le parole di Paul Valéry, «il massacro di persone che non si conoscono per conto di persone che si conoscono, ma non si massacrano». Un approccio rifiutato da Gesù, che da parte sua invita a metter via le spade. Perché «Gesù non è un generico pacifista, ma un pacificatore».

Ed è anche uno che divide: gli uomini religiosi del suo tempo, Erode e Pilato, addirittura i due malfattori crocifissi con lui, «perché uno lo infanga, bestemmiando e l’altro invece lo implora». Gesù, che affida la sua memoria a un po’ di pane spezzato e a qualche goccia di vino condiviso, divide perché alcuni lo rifiutano, lo contestano o peggio lo ignorano, mentre altri «lo ricercano perfino con nostalgia, intuendo che è lui che ci dà la strada».

Dalla lunga narrazione della Passione emerge l’atteggiamento dei capi, che deridevano il Maestro dicendo “ha salvato altri, salvi se stesso”. «Il potere – ha notato don Domenico – sia quello civile che quello religioso, in questa strana alleanza tra trono ed altare che porterà alla morte del Messia, è sempre una maschera di cecità e di violenza, ammantata di disprezzo e di ironia». Il popolo invece stava a vedere, «non nel senso che il popolo è indifferente, ma nel senso che è spiazzato da questo Messia che non salva se stesso, che non si difende, che non usa la forza».

Ed è questa la chiave per attraversare «questi giorni santi che ci apprestiamo a vivere, indirizzati verso la Pasqua: rimanere anche noi sorpresi da questo uomo giusto che non salva se stesso, ma si lascia salvare da Dio. È questa storia che dobbiamo imparare di nuovo a raccontare ai nostri figli e alle nostre figlie, perché questa sì che è una storia originale, sorprendente, spiazzante, che può dare anche a loro, finalmente, un indirizzo diverso per vivere».

Un impegno da prendere sul serio, perché «la vera questione – ha concluso il vescovo – non è tanto la domanda dellambientalista medio, che dice “che mondo lasceremo ai nostri figli”, quanto piuttosto l’altra: “Che figli lasceremo a questo mondo?».