Un Dio tre volte tutto

Il 15 giugno la Chiesa cattolica festeggia la SS Trinità.

Un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità di una sola persona (ipòstasi), ma nella trinità di una sola sostanza. Dice più o meno così il prefazio della Messa della Santissima Trinità.

Si dice nel linguaggio popolare: è un mistero come la santissima Trinità, per dire di una cosa o di una persona di cui si capisce poco o niente.

Certamente il culto popolare alla Trinità è stato incentivato anche da una parte del clero proprio per avvicinare i fedeli al mistero del Dio di Gesù, non un Dio solitario e solo, ma un Dio comunione e comunione d’amore, un Dio relazione.

Non buono una volta sola ma tre, non santo una volta sola ma tre, non misericordioso una volta sola ma tre, non paziente una volta sola ma tre, non giusto una volta sola ma tre.

Tre di tutto e di tutto bene. Se fosse un’invenzione il folle teologo meriterebbe un Nobel per la fantasia, invece le tracce veterotestamentarie e le poche ma significative affermazioni neotestamentarie hanno fatto scorgere la certezza di fede che ha in un Dio Uno, ma Trino, il suo mistero sorgivo, come un’unica fontana a tre getti, che zampilla inesauribile.

Dal dogma trinitario, razionalmente non proprio dimostrabile, come invece può essere l’esistenza di Dio, secondo le due classiche posizioni, a-priori e a-posteriori, discendono serie conseguenze per la vita della Chiesa e dei credenti.

Un Dio Trino è un Dio dinamico, non statico; generoso, non chiuso; dialogico, non muto; operativo, non ozioso.

Queste qualità dovrebbero renderlo interessante, coinvolgente, ma soprattutto attraente: una Chiesa dinamica, generosa, dialogica, operativa, è una Chiesa che piace, che stimola e favorisce la sequela, la partecipazione, la condivisione, il coinvolgimento, che incide.

Anche l’uomo “trinitario” è dinamico, generoso, dialogico, operativo, altrimenti è l’esatto contrario.

Queste qualità sono tra quelle essenziali per una vita di relazione buona, gustosa, saporita, creativa.

Purtroppo aver relegato il dogma della Trinità nello scaffale delle cose da credere ma non incisive o essenziali per la vita quotidiana ha prodotto chiusure e sclerotismi sia nei singoli che nelle comunità, nelle relazioni amicali e nelle continguità lavorative, nelle relazioni affettive e familiari e nei rapporti interni al clero e ai religiosi, come pure nei rapporti tra consacrati e mondo ecclesiale.

Riscoprire le processioni (pericorèsi) trinitarie potrebbe voler dire che siamo pronti a riscoprire le relazioni umane, fondate di più, come direbbe Sant’Agostino, sull’esse, il nosse e il velle. Essere, conoscere e volere.

Un’essere che dovrebbe riguardare il modo di stare al mondo, non solo in senso ontologico, un conoscere intelligente e critico le nostre potenzialità e quelle dei nostri interlocutori, un volere che sia sempre orientato al bene e al bello.

Ogni aspetto potrebbe riguardare punti nodali del nostro stesso esistere: l’essere, il cuore; il conoscere, la mente; il volere, l’azione.

Una comunità che sa essere ciò che è chiamata ad essere, che sa e che fa, è una comunità viva e vera, così come lo è la persona.

Comunità “trinitarie” e uomini “trinitari” cambiano la Chiesa e cambiano la società: sarà utopia, ma vale la pena lavorarci.