Dignita e originalità della donna tra memoria e profezia. Il vescovo Domenico a Perugia per la Beata Colomba

In occasione dei 550 anni dalla nascita della Beata Colomba, mons Pompili si è recato a Perugia, dove si è svolta la giornata conclusiva dell'anniversario.

Una sintesi di spiritualità, storia e società: così il cardinale Bassetti ha definito Colomba da Rieti rivolgendosi al pubblico intervenuto sabato mattina alla Sala dei Notari di Perugia per il 550° anniversario della nascita della beata reatina. «La terziaria domenicana venne da Rieti a Perugia per un misterioso disegno della Provvidenza», è la tesi del vescovo dell’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, che ha ricordato come la Santa sia stata oggetto di culto ininterrotto: «una figura di mistica calata nella storia e intenta a opere di misericordia».

La giornata conclusiva dei festeggiamenti per la ricorrenza, iniziati nell’Ombelico d’Italia lo scorso 4 febbraio con la visita in città di un gruppo di fedeli perugini, accompagnati dallo stesso Bassetti, ha visto una grande partecipazione da parte delle comunità civili e religiose delle due città. Presenti anche il sottosegretario Mibact Ilaria Borletti Buitoni, molti amministratori civici e l’arcivescovo emerito mons Giuseppe Chiaretti, oltre a un gran numero di “sorelle” della Croce Rossa.

L’occasione, del resto, era ghiotta anche grazie alla pubblicazione dell’edizione critica del poema Colombeide. Scritta da Niccolò Alessi in esametri latini e curata da Andrea Maiarelli, l’opera esisteva prima in un’unica copia, fortunosamente individuata alcuni anni fa presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Modellato sul poema virgiliano, il testo intende omaggiare Colomba e rafforzare il suo culto narrandone l’esemplarità della vita tramite le eleganze della poesia classica.

E proprio dai versi di Alessi è partito l’intervento del vescovo Domenico, sottolineando che pure nella poesia la breve vita di Colomba ha lasciato più di una traccia. Ma la Beata continua a dire qualcosa anche a noi oggi perché «non si è limitata a rispondere all’invito del Maestro a seguirlo, ma si è impegnata concretamente e ha inciso in profondità sui contesti nei quali ha vissuto».

Colomba ha infatti coraggiosamente rifiutato il matrimonio, ma non per questo la sua vitalità è rimasta prigioniera del chiostro. È invece riuscita a «far trapelare dietro la grata del monastero ciò che accadeva all’esterno, tanto che non c’è stato evento politico o sociale in occasione del quale non si sia visto in lei un punto di riferimento nella Perugia del suo tempo».

Non solo: la grandezza di Colomba si trova soprattutto nel suo essere un invito a restituire alla donna «non solo la sua dignità, ma anche la sua originalità». Uno sguardo, ha ammesso don Domenico, su cui non solo la società, ma anche la Chiesa è in ritardo. Tanto che registriamo da un lato «innumerevoli e drammatici elementi di riflessione», e dall’altro «la fuga inarrestabile delle donne dalla vita della Chiesa». Un fatto molto grave, «perché sono sempre state in primo luogo le donne a garantire la trasmissione della fede: la fede è sempre passata attraverso la generazione di una donna».

Come generatrice di fede, e come icona del genio e dell’originalità della donna, quella di Colomba rimane dunque una figura attuale, che è utile continuare a studiare «avvalendosi del contributo lucido della storiografia», oltre che pregare «con il cuore di cristiani». Una strada da percorrere seguendo l’intuizione di mons Luigi Bardotti, «ultimo, grande innamorato della beata Colomba nella diocesi che oggi guido» ha ricordato il vescovo, «che molti di voi hanno conosciuto e che purtroppo ci ha lasciato improvvisamente nell’ottobre scorso».

Il sacerdote aveva infatti capito che la devozione alla Beata si gioca su due poli, apparentemente rinvianti a dimensioni molto diverse tra loro eppure complementari: la memoria e la profezia. «Il punto di partenza è la memoria, come recupero, su basi solide e scientifiche, della figura di Colomba in tutti gli aspetti della sua sfaccettata figura (da quello storico e storico-artistico a quello religioso e, perché no, a quello civile). Ma il punto di arrivo – ha concluso mons Pompili – è poi la profezia, cioè la capacità di trasformare quella memoria, non annebbiata o distorta proprio perché storicamente fondata, in una proposta di novità di vita che sappia parlare ai cristiani di oggi».