Difendere il popolo e la natura

Domenica di viaggio per Papa Francesco, un ritorno a casa, nel suo continente per una visita che lo vedrà percorrere le strade dell’Ecuador, della Bolivia e del Paraguay. Nessuna recita pubblica dell’Angelus, in una domenica in cui il Vangelo ci racconta il ritorno di Gesù a Nazareth, la sua città natale. Luogo familiare dove tutti lo conoscono, e dove, come ogni sabato, va nella Sinagoga e si fa maestro.
In quel suo entrare nel tempio, vi è un’occasione che si rinnova per noi ogni qualvolta ascoltiamo la sua parola così come ci viene proposta nei Vangeli. Ci chiede di uscire, Francesco, dalle nostre piccole categorie, di essere come lui, attenti al prossimo, a coloro che si trovano in difficoltà, o hanno bisogno di una parola di conforto e di sostegno.
A volte ci domandiamo se siamo capaci di rispondere a questa sua chiamata, se riusciamo a mettere da parte tutte le nostre difficoltà e incombenze, per aprirci all’altro. Viviamo tempi difficili e come possiamo aprire la nostra casa all’altro?
Marco all’inizio del suo Vangelo ci dice che se si ascolta il Signore allora bisogna convertirsi e credere; la sua parola entra nella vita di ognuno di noi, se siamo capaci di ascoltarla. Spesso invece pensiamo che tutto sommato le cose vanno bene come sono, è il nostro quotidiano che ci sostiene perché è cosa conosciuta, non una novità con la quale fare i conti.
Francesco, appena arriva in Ecuador, già con il suo primo discorso all’aeroporto di Quito chiede subito di fare i conti con la Parola di Dio. Per questo assicura l’impegno suo e quello della Chiesa per affrontare le sfide attuali, apprezzando le differenze, promuovendo il dialogo e la partecipazione senza esclusioni, affinché i passi avanti in progresso e sviluppo che si stanno ottenendo garantiscano un futuro migliore per tutti, riservando una speciale attenzione ai nostri fratelli più fragili e alle minoranze più vulnerabili.
È il Papa, Francesco, che ha da poco consegnato al mondo un’Enciclica sul creato nella quale ricorda che “un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”. È facile ricordare che il viaggio di Papa Francesco è sì a Paesi che rappresentano una periferia del continente, sono i Paesi più poveri, e dove la crisi ha segnato profondamente la vita della gente; ma è anche attorno al grande polmone verde della foresta amazzonica. Nella “Laudato si'” il Papa scrive che bisogna interrogarci “sul senso dell’esistenza e sui valori alla base della vita sociale”. Così, scrive, se non ci poniamo alcune domande di fondo – “per quale fine siamo venuti in questa vita? per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi?” – non crede il Papa “che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti”.
Così nel suo discorso all’aeroporto, Papa Bergoglio ricorda che a 180 chilometri da Quito c’è la montagna andina del Chimborazo, “il luogo più vicino al sole, alla luna e alle stelle”. E aggiunge: “Noi cristiani paragoniamo Gesù Cristo con il sole, e la luna con la Chiesa, la comunità; nessuno, eccetto Gesù, brilla di luce propria” e se la luna lo nasconde non fa una buona testimonianza. Così chiede di non perdere mai “la capacità di rendere grazie a Dio per quello che ha fatto e fa” per il popolo ecuadoregno. Non perdere “la capacità di difendere il piccolo ed il semplice, di aver cura dei bambini e anziani, sono la memoria della nazione, di aver fiducia nella gioventù”.
Difendere il povero, difendere la natura, chiede Francesco quando invita ad accogliere la Parola di Dio. Gesù torna nella sua casa, leggiamo, e vorrebbe dare segni concreti del suo amore verso i poveri, i malati, le persone sole. Vorrebbe… Ma spesso si scontra con cuori induriti, orecchie che non ascoltano. L’invito di Francesco a uscire è anche questo saper ascoltare e saper accogliere.