Dieci anni fa, Pantani

Sono passati dieci lunghi anni da quel 14 febbraio 2004. È sabato sera e il consueto «Sabato Sprint» con le notizie dell’anticipo di Serie A è accantonato da una tragica notizia: a Rimini, nella camera del residence “Le Rose”, viene ritrovato morto il ciclista Marco Pantani. Il pirata. Il più forte scalatore di sempre che ha dato tante gioie ai tifosi italiani che alla fine si è arreso al sistema perché troppo debole.

Sistema che anni dopo, con il caso Armstrong, dimostrò che in quegli anni tutto era marcio, e l’unico a pagare veramente fu proprio Marco. Lui, che nel 1998 entra nella leggenda del ciclismo, in rosa a Milano e in giallo a Parigi: vi erano riusciti solo leggende come Coppi, Anquetil, Hinault e Indurain.

Lui, che dopo Madonna di Campiglio si chiude in se stesso e inizia una lenta agonia che lo porterà quel giorno di febbraio, a scrivere, scrivere di come il ciclismo non lo avrebbe dimenticato. Ed è vero. Non c’è corsa in Italia, specialmente in salita, dove c’è un cartello, una scritta sulla neve, una bandana, che ci dimostra che la sua leggenda è ancora viva.

La sua carriera è piena di luci e ombre; la sua morte invece è molto oscura: tanto che sua mamma Tonina, ha chiesto alla magistratura di Cesenatico di riaprire il caso. Molte sono secondo lei le incongruenze, a partire da alcuni lividi sospetti, tralasciati dagli inquirenti sul corpo di Marco, o i resti di cibo cinese rinvenuti nella stanza, che secondo lei, Marco non mangiava mai. Secondo mamma Tonina, Marco sarebbe stato ucciso per metterlo a tacere. Il caso sembrerebbe ancora aperto.

Comunque a dieci anni di distanza, ci restano ancora le sue grandissime imprese. E la consapevolezza che lui aveva ragione. Il più pulito di tutti (Armstrong) era quello che aveva più rogna.