Dialogo con l’eremita: una semplicità conquistata a fatica

La ricerca del nascondimento come scelta religiosa è la chiave per comprendere la scelta di fra Stefano. La sua vita solitaria, unica nella nostra diocesi, è la preziosa testimonianza di un’alternativa sempre possibile

«Non è una situazione facilissima. Le considerazioni da fare sarebbero tante». Il terremoto è arrivato a inquietare anche fra Stefano, l’unico eremita della nostra diocesi. Il suo eremo, in linea d’aria, dista pochi chilometri dall’epicentro delle ultime scosse intense. «Rimane la paura – ci dice – ma ci sono anche dei motivi di conforto, pure se è difficile parlarne. Bisogna vedere le cose dal punto di vista della fede. Sono cose delicatissime, ma bisogna sforzarsi di vedere l’intervento dall’alto. Anche se le domande rimangono. Non si può certo parlare di punizione divina: ad Amatrice sono morti degli innocenti. Al tempo stesso fatti come questi vanno visti come un ammonimento alla conversione, ad alzare gli occhi al cielo, a non confidare soltanto nelle cose materiali, nelle sicurezze umane».

È la chiave dell’esperienza eremitica questo affidarsi a Dio?
Posso dire in tutta onestà, insieme al profeta Geremia: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo. Benedetto l’uomo che confida nel Signore». Tutta la mia vita è stata un affidarmi a Dio. Di fronte ai rischi e ai problemi che ho avuto, non ho contato sulle sicurezze umane, non ne ho e forse non le ho mai cercate.

Come è nata la tua vocazione?
Ho avvertito la vocazione religiosa a 27 anni. Dopo un anno di riflessione sono entrato in un monastero benedettino. Lì, nel corso di due anni, ho maturato il desiderio della vita solitaria. L’ispirazione è stata quelle di sperimentare la forma originaria del monachesimo: il deserto di sant’Antonio abate. Così è cominciata la mia avventura. Ho quasi 50 anni: sono eremita da 20.

Un lungo percorso di vita e di fede…
È stato un cammino molto complicato. Ci sono le fatiche proprie della vita solitaria: quelle del deserto, della vita spirituale. E a queste si aggiungono tutta una serie di difficoltà ulteriori, legate alla particolare situazione attuale. Quella degli eremiti è una tradizione, non invento nulla. Ma questa tradizione con il tempo si è persa. Nei primi secoli era una scelta significativa anche nei numeri, oggi no. La tradizione si realizza con l’esperienza che si trasmette alla generazione successiva. Questo patrimonio comune oggi è assente. E allora si va a sbattere contro la totale incomprensione, che poi è la madre delle diffidenze e delle ostilità. La mia è stata una duplice difficoltà, che ho dovuto affrontare con pazienza e umiltà. La strada non è in discesa.

Il punto è che è un’esperienza in controtendenza, fuori della logica dei tempi e dell’ordinario.
È vero, ma sono convinto della perenne attualità dei valori del monachesimo: dal punto di vista sostanziale, per la vita spirituale, come chiave di ricerca interiore, ma anche negli aspetti esteriori. La vita di povertà e l’austerità sono valori eterni, ma oggi particolarmente necessari. Perché il mondo è andato da tutt’altra parte e in tanti oggi sentono di essere finiti fuori strada. Si avverte il bisogno di un ritorno alla semplicità, di una vita più autentica e più sana.

In questo senso la tua è una testimonianza: è dire che vivere altrimenti è possibile. Com’è la tua vita quotidiana?
Vivo secondo la regola benedettina, che cerco di seguire con stretta osservanza. È una vita di preghiera e lavoro. Svolgo una piccola attività artigianale, che mi ha consentito di essere povero, ma autosufficiente. Intaglio tavole di legno con frasi della Bibbia. Poi mi è di aiuto lo studio. In questi anni ho dovuto e potuto leggere tanto. Le difficoltà mi hanno costretto a scavare, a cercare. Ma ho anche molto tempo da impiegare e pochissime distrazioni.

Si direbbe che hai scoperto la profondità della vita nelle cose semplici.
Diventare semplici è la cosa più difficile. Dico innanzitutto dal punto di vista spirituale. È faticoso separare il cuore da tutti gli attaccamenti, da tutti i sedimenti, dagli inquinamenti che subiamo nel corso della vita. Si parte da questa complicazione del cuore umano per andare alla ricerca della purezza e della trasparenza. La semplicità è l’approdo: non è il dato di partenza, ma il punto di arrivo.