Dalla lavagna al rosario: il “mestiere” dell’Insegnante di Religione

“La centralità della preghiera” è stato il tema del ritiro spirituale di Avvento organizzato dall’Ufficio diocesano per l’Insegnamento della Religione Cattolica domenica 21 dicembre presso le Suore del Divino Amore di Rieti e guidato dal Vicario Generale Mons. Jaroslaw Krzewicki.

Don Jarek ha definito il “mestiere” dell’Insegnante di Religione Cattolica (IdR) come una vera e propria vocazione, che si nutre e trae la sua forza dal sostegno della preghiera e dei sacramenti. Egli, infatti, è una persona chiamata a testimoniare il Vangelo nelle aule delle scuole – e non solo a trasmettere dei contenuti dottrinali inerenti la religione cattolica – come anche tutti i docenti cristiani.

Come sottolinea papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, la preghiera è la linfa che riempie di senso e di audacia l’azione del cristiano, il quale sa di non poter mai fare a meno del “polmone della preghiera” per non rischiare di spegnere il suo fervore, di indebolirsi sotto il peso della stanchezza e delle difficoltà che si possono incontrare.

Ma cosa significa pregare? Come si prega? Quali parole si devono usare? Perché è bene pregare? A queste domande il Vicario ha risposto sottolineando come la preghiera sia un dialogo che avviene a partire da un incontro tra l’essere umano e Dio, nel quale nasce un rapporto di fiducia fra i due. Il mezzo che permette di alimentare e rendere viva e vivificante questa relazione è la preghiera.

Ponendosi sulla scia del grande maestro e scrittore alessandrino della prima metà del III secolo d.C., Origene, don Jarek ha così proposto agli IdR un vademecum pratico, suddiviso in tre fasi, della preghiera. Nella prima egli ha detto che il pregare consiste semplicemente nel recitare alcune parole una accanto all’altra, inizialmente in maniera meccanica e poi con sempre maggiore cura ed attenzione. Non è un qualcosa di vano e di inutile o del tempo sprecato, ma è il nostro modo di parlare con Dio soprattutto quando attraversiamo momenti di stanchezza o di turbamento.

Nella seconda fase si cerca di concentrarsi sul significato delle parole pronunciate, soffermandosi su di esse e provando a coglierne il contenuto. È possibile e fortemente consigliato sia l’uso di testi biblici, i quali diventino la lingua del pregare e il mezzo di meditazione personale per il dialogo con Dio, sia il rosario, che è il compendio di questo vademecum. Nella terza fase, invece, la preghiera diviene contemplazione. Si raggiunge così il “monte Tabor”, nel quale si percepisce la presenza di Dio e si fa esperienza della bellezza, di quella bellezza che spinge l’orante a ritornare a pregare, a risalire sul monte. Come affermava Origene, il cristiano serra gli occhi dei sensi ed apre quelli dell’anima per sollevarsi al di sopra dell’universo delle sue preoccupazioni. Col pensiero riesce così a raggiungere, guidato dallo Spirito di Dio, una regione iperurania, dove, anche se solo per un attimo, riesce a far salire a Dio la sua preghiera, non cercando nulla di piccolo, ma soltanto quelle cose grandi che avviano sulla strada che porta alla beatitudine.

L’invito rivolto dal Vicario ad ogni IdR è stato quello di trasformare la propria vita in preghiera stando sempre davanti a Dio, nella certezza, come sosteneva Cipriano concludendo il suo commento al Padre Nostro, che nella vita oltre alla morte saremo «destinati a pregare di continuo e a ringraziare sempre Dio».