In un suo azzeccato editoriale su «Il Foglio», Claudio Cerasa ha fatto una riflessione sul senso di realtà degli italiani. L’attuale direttore del giornale fondato da Giuliano Ferrara coglie infatti una stridente contraddizione tra l’umore che attraversa il Paese e i principali indicatori statistici. Il Censis, ad esempio, pochi giorni fa ha messo nero su bianco un netto calo dei reati, scesi del 10,2% nell’ultimo anno; più recenti ancora i dati del Viminale, che certificano un calo dei migranti sbarcati tra gennaio e luglio: il 77% in meno rispetto al 2016 e l’80% in meno rispetto al 2017; secondo l’Istat, poi, a maggio gli occupati hanno raggiunto il massimo storico di 23 milioni 382 mila unità e il tasso di disoccupazione è sceso ai minimi dal 2012.
Eppure si moltiplicano rabbia, paure e insicurezza: l’opinione pubblica sembra confidare più sulle percezioni che sulla realtà, assecondare un certo gusto per le notizie cattive se non false e scegliere solo narrazioni che confermano idee preconcette. Una situazione che rischia «di alimentare una classe politica interessata a occuparsi più della forma che della sostanza, più della fuffa che della realtà, più dei problemi inventati che dei problemi reali».
Tra le questioni più trascurate vanno sicuramente messe quelle ambientali, la cui rilevanza non sembra accompagnata dalla necessaria consapevolezza. Ma esse rappresentano un tema generale, che richiede attenzioni e azioni da parte di tutti, senza distinzioni. È ad esempio particolarmente urgente comprendere l’impatto ambientale delle materie plastiche. Utilissime e versatili, le troviamo praticamente ovunque attorno a noi. Ne esistono infatti molti tipi, utilizzati nei più disparati settori, anche se stentiamo a pronunciarne i nomi: polietilene, polipropilene, polivinilcloruro, polistirene, poliammidi, polietilenetereftalato.
Amiamo la plastica perché è pratica e resistente: gli oggetti in plastica fanno parte della nostra vita grazie agli innegabili vantaggi che presentano tanto sul piano dell’uso quanto su quello produttivo ed economico. Ma troppo spesso a pagare il prezzo di questi benefici è l’ambiente. Quasi tutta la plastica è infatti difficilmente biodegradabile e in buona parte è protagonista di consumi del tipo “usa e getta”, anziché “usa e riusa”: Il problema è che una volta diventata un rifiuto, la plastica è destinata a frammentarsi fino alla dimensione delle microplastiche che inquinano le terre e soprattutto i mari.
Di qui la scelta fatta da Chiesa di Rieti e Slow Food di affrontare il tema dell’inquinamento dovuto dall’uso/abuso di plastica durante il primo Forum delle Comunità Laudato si’. Il 28 luglio ad Amatrice, presso la sala polivalente dell’Area Food, si guarderà in particolare alle ripercussioni sull’ecosistema marino e sull’uomo derivanti sia dal consumo di pesce, sia dalla sempre maggiore esposizione agli additivi utilizzati nella produzione delle materie plastiche.
Pensato come appuntamento annuale di incontro, scambio e confronto tra le Comunità Laudato si’ che si sono costituite o che si stanno costituendo per diffondere il messaggio dell’enciclica di papa Francesco, l’iniziativa ha anche la valenza di un momento di formazione e riflessione aperto a tutti sulle tematiche emergenti riguardanti l’ambiente.
Durante il forum, infatti, si analizzeranno le dinamiche attuali con la consapevolezza della gravità di alcuni fenomeni di inquinamento, guardando all’urgenza di arrestare processi di contaminazione, elevatissima in determinati contesti, nella prospettiva di delineare una inversione dei processi inquinanti.
Per ottenere un miglioramento la società dovrà inventare stili di vita più coerenti con la situazione del pianeta, ma probabilmente ci riuscirà solo a patto di mantenere almeno in parte la comodità e il benessere garantiti dalla plastica.
Inoltre il problema non si può affrontare da solo, ma va corretto insieme alle altre disfunzioni e ingiustizie che attraversano il mondo e accompagnano l’attuale modo di produrre e consumare. Tanto per tornare alle statistiche, l’Istat di recente ha certificato la povertà assoluta di 5 milioni di italiani, un record dal 2005, mentre il Censis, non più in là dello scorso marzo, ha posto la lente su quasi 3 milioni di giovani precari, penalizzati da carriere discontinue, lavoretti e stipendi troppo bassi.
Sembra paradossale, ma il principio di realtà ci chiama ad avere maggiore fantasia. Sarà per questo che mi vengono in mente i Barbapapà. I variopinti personaggi del fumetto ideato da Annette Tison e Talus Taylor «sono ecologisti e pacifisti, sono contro la caccia e per la riscoperta dell’artigianato, sostengono l’autoproduzione e combattono i valori borghesi. Eppure – spiega il designer Riccardo Falicinelli nel suo Cromomama – non sono mai fricchettoni né ideologici: nella società ideale ci deve essere spazio per l’ecologismo giallo di Barbazoo, per il culturismo rosso di Barbafote, per gli intellettuali arancioni come Barbottina e per la passione cosmetica viola di Barbabella. E poi il capofamiglia è rosa e la mamma è nera, metafore di una famiglia davvero differente. Un po’ per significare che ognuno ha la sua personalità e la sua propria pelle, ma anche per raccontare come le virtù e i limiti dei singoli siano la forza per una società più ricca e cooperativa».
Soprattutto, questi giganteschi blob informi e colorati hanno la caratteristica di poter assumere la forma desiderata per risolvere i problemi in cui di volta in volta sono coinvolti. I Barbapapà si adattano, si trasformano alla bisogna, non esitano a intervenire laddove sentono che sono chiamati a farlo. E senza mai perdere le rispettive identità.
Spirito di adattamento, trasformazione e progettazione: piccoli semi da far crescere nelle Comunità Laudato si’.