La croce capitolare

Croce capitolare

Benché la solennità di Cristo Re sia stata istituita meno di cento anni or sono, ben più antica e ricca è la tradizione iconografica fiorita nel corso di due millenni nella Chiesa Cattolica e nelle Chiese orientali che condividono la scelta di raffigurare il Figlio dell’Uomo nelle sue sembianze corporee.

L’11 dicembre 1925, con l’enciclica Quas primas papa Pio XI intitolò a Cristo, Re dell’universo la domenica conclusiva dell’anno liturgico, a sigillo dell’anno giubilare.

L’enciclica evidenziava che la sovranità di Cristo si riverbera nella natura e nel valore del suo Regno, l’impero universale sul quale il Redentore esercita il suo ruolo di Divino Maestro e di legislatore. L’istituzione della festa di Cristo Re, volta a sollecitare la partecipazione emotiva e l’ammaestramento dei fedeli attraverso la varietà e la bellezza dei sacri riti, avrebbe avuto il merito di contrastare il laicismo dilagante con i suoi errori e con i suoi empi incentivi e di pacificare le coscienze, nel solco della tradizione che nel solco dei secoli aveva espresso le solennità del Corpus Domini e del Sacro Cuore di Gesù.

Nelle diverse modalità consegnateci dalla storia dell’arte sacra, Cristo Re siede in trono, il capo cinto dalla corona, assumendo le vesti e gli atteggiamenti propri un tempo degli Imperatori romani d’Oriente che indossavano la dalmatica porpora, dalla laboriosa e costosa realizzazione, intessuta di fili d’oro e d’argento

Nelle croci astili, convergono con felice efficacia simbolica entrambe le modalità rappresentative del corpo di Cristo.

Intorno all’XI secolo, si affermò l’usanza di dare l’avvio della processione papale mediante l’esposizione della crux stationalis portata da un suddiacono: l’immagine del crocifisso era sempre rivolta verso il pontefice, a significare che la gloria terrena deriva dalla croce e dalla mortificazione di Cristo.

Verso gli astanti, è rivolta l’immagine del Christus triumphans assiso sul trono, nelle sue vesti regali.

Nel corso dei secoli successivi, l’uso della croce si estese dapprima ai vescovi fino a divenire prassi comune per qualsiasi processione.

Dal XIII secolo in avanti, ogni chiesa parrocchiale si dotò di una croce processionale, detta astile perché innestata su un’asta dal fusto di legno o metallo che ne rende più pratico l’utilizzo.

Il corpus delle croci astili del Museo Diocesano comprende venti pezzi: si tratta di un nucleo consistente di otto croci arcaiche a cui si aggiungono sei pregevoli croci quattrocentesche, due croci del XVI secolo, una croce rispettivamente per i successivi secoli XVII, XVIII, XIX.

Se l’origine temporale rivela il radicamento di una tradizione, la distribuzione nello spazio segna con marcata evidenza l’area del Vicariato di Regno, enclave della Diocesi di Rieti nel territorio napoletano, in cui domina il linguaggio artistico dell’oreficeria abruzzese.

Lo documenta un nucleo prezioso di manufatti arcaici, tra cui spiccano le croci provenienti da Borgorose, da Santa Lucia di Fiamignano, di Sant’Eutizio di Pescorocchiano, di Sant’Andrea Apostolo di Capradosso, a cui si aggiunge la preziosa croce della parrocchiale di Antrodoco, opera della bottega di Nicola da Guardiagrele.

Sono però rappresentate da un numero apprezzabile di esemplari le zone a contatto con l’Umbria, come è nel caso delle croci di Santa Maria Maggiore di Labro e di San Lorenzo Martire di Morro, e con la Sabina romana, da cui proviene la croce della parrocchiale di San Salvatore a Belmonte (1547) e la croce della parrocchiale di Santa Maria della Neve a Vallecupola, recentemente riconosciuta come opera di Jacopo del Duca.

E’ dunque evidente che anche nel campo dell’oreficeria Rieti ha rappresentato un luogo di mercato e di scambio di esperienze ed influssi artistici, in cui si sono confrontate le tecniche e si sono proposti i diversi linguaggi dell’iconografia.

Ma la lettura analitica della croce capitolare di Rieti, opera di un artista locale, consente di riconoscere i tratti di una cultura autonoma, che durante la stagione della prima età moderna si rivelò in grado di far sintesi delle più varie esperienze che filtrarono e si fusero in questa terra di confine.

Le fonti d’archivio ci informano che nel 1372 il Capitolo della Cattedrale di Rieti si rivolse ad un maestro aquilano per dotarsi di una croce astile, che fu acquistata per la cifra di 90 fiorini. Una sommaria descrizione ci consente di sapere che la croce era in argento laminato, con inclusioni a smalto.

Sappiamo infine che sul recto presentava accanto al Crocifisso le immagini della Madonna e di San Giovannino, mentre il lobo sovrastante l’asta recava l’immagine della patrona Santa Barbara.

Un secolo più tardi, la croce aquilana appariva piuttosto rovinata e, soprattutto, non soddisfaceva più con i suoi tratti arcaici il gusto del Capitolo che decise di fonderla per realizzarne due candelieri ed affidò l’incarico di realizzare una nuova croce ad un artista reatino, Giacomo Gallina (1418 ca.-1493).

Giacomo di Battista di Nicola Gallina, nato nel sestiere di Porta Carceraria de intus e titolare di una bottega in Porta Romana de supra, frequentò in gioventù il laboratorio del senese Galgano di Mino da Siena, attivo a Rieti nei primi decenni del Quattrocento, perfezionandosi più tardi (presumibilmente, fra il 1436 ed il 1442) nell’arte dell’oreficeria all’Aquila.

Tornato in patria, fu artista apprezzato e cittadino esemplare esercitando cariche pubbliche di rilievo: per ben nove volte fu Gonfaloniere, procuratore del monastero delle Clarisse di Santa Lucia, nel 1467 Aggiustatore dei pesi e misure per conto del Comune.

La croce capitolare fu realizzata fra il novembre 1476, quando vennero incaricati di soprintendere ai lavori i canonici Ser Paolo da Montegambaro e Ser Bartolomeo Roselli, ed il maggio 1478, quando l’artista rilasciò al Capitolo la quietanza finale.

Il prezioso manufatto, che s’innesta sul nodo della croce trecentesca in rame dorato lavorato a sbalzo, fu realizzato applicando sull’armatura lignea sottili lamine d’argento e di argento dorato lavorate a sbalzo, cesello e fusione.

Sul recto, la figura del Crocifisso dall’intensa plasticità è affiancata alla destra dal gruppo delle pie donne che soccorrono la Madonna, alla sinistra dall’immagine di San Giovannino.

Nella cornice mistilinea del lobo in cui culmina l’asta è raffigurato il pellicano, simbolo del sacrificio di Cristo, in basso è Santa Barbara patrona di Rieti.

Nel verso, il Risorto in atto benedicente è affiancato nelle cornici lobate dalle figure finemente modellate di San Giovanni Battista, dell’Arcangelo Gabriele e della Vergine Annunziata, di Sant’Eleuterio martire e di un Profeta.

Nella raffinata, polita eleganza della croce capitolare, l’artista reatino seppe far convergere il gusto rinascimentale fiorentino appreso dal suo primo maestro e la forza plastica della tradizione abruzzese dando prova della sua abilità di cesellatore e consentendo all’arte dell’oreficeria reatina di svincolarsi da una condizione di dipendenza ormai anacronistica.

Così, nella collezione delle croci astili custodite presso la sala delle oreficerie del Museo Diocesano reatini è testimoniata la fortuna iconografica della rappresentazione del corpo di Cristo, raffigurazione plastica del trionfo divino sulla morte.