«Costruite ponti»: il mandato del Papa ai “suoi” giovani

Francesco li ha incoraggiati ad essere protagonisti nella costruzione del proprio futuro e di quello del loro Paese, un futuro di dialogo e convivenza pacifica. “Lavorate per la pace tutti insieme. Che questo sia un Paese di pace. Una pace che ci porterà gioia. La pace si costruisce insieme: musulmani, ebrei, ortodossi e cattolici. Tutti siamo fratelli, tutti adoriamo un unico Dio”.

Un incontro che si è trasformato in un dialogo. Un colloquio amichevole, con la voglia di scoprirsi reciprocamente. Ha sentito l’amore dei giovani di Bosnia Erzegovina verso la sua persona, Papa Francesco, che si è aperto loro come un padre che dona consigli ai propri figli e che risponde alla loro sete di verità e vita. Hanno ereditato un passato di guerra e distruzione le cui ferite sono ancora vive e stentano a rimarginarsi. Ma il tempo sta cambiando: “le nuvole nere della tempesta – aveva detto al suo arrivo Francesco – si sono finalmente allontanate e dopo il gelido inverno fiorisce la primavera”. Un’immagine riproposta anche ai giovani radunati nel centro diocesano giovanile “Giovanni Paolo II” di Sarajevo. “Voi avete una singolarità. Siete la prima generazione del dopoguerra, siete fiori di una primavera che vuol andare avanti e non tornare alla distruzione, alle cose che ci rendono nemici. Trovo in voi questa voglia, questo entusiasmo e questo è nuovo per me”.

Disoccupazione, povertà materiali
, difficoltà relazionali, mancanze spirituali. E un contesto politico economico e sociale problematico che ne limita le scelte e le possibilità di crescita. Non è facile, oggi, essere giovani in Bosnia Erzegovina dove, secondo la Banca Mondiale, il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto, nel 2014, il 60,4%. Un dato brutale e drammatico che, come evidenzia il dossier di Caritas italiana distribuito a Sarajevo alla vigilia della visita papale, “non fa che incrementare nuove forme di marginalizzazione tra i giovani e dove trovano terreno fertile la retorica nazionalista e la chiusura nei confronti delle altre comunità”. Una generazione, insomma, senza pace ma a cui il Santo Padre ha affidato la speranza della Bosnia Erzegovina. Papa Francesco li ha presi per mano, uno ad uno, ha voluto incontrarli, li ha incoraggiati ad essere protagonisti nella costruzione del proprio futuro e di quello del loro Paese, un futuro di dialogo e convivenza pacifica. “Lavorate per la pace tutti insieme – è stato il suo monito – Che questo sia un Paese di pace. Una pace che ci porterà gioia. La pace si costruisce insieme: musulmani, ebrei, ortodossi e cattolici. Tutti siamo fratelli, tutti adoriamo un unico Dio”.

In duemila avevano vegliato, venerdì sera
, per prepararsi all’incontro dell’indomani. Organizzata presso la parrocchia di Stup, sede del centro giovanile, ha lasciato più d’un segno di speranza. Un giovane popolo gioioso e colorato, ha pregato per tutta la serata. Ha cantato, chitarre in mano, ha vegliato, si è messo in fila per la confessione. Ha acceso candele in ricordo di tutti i cristiani vittime della violenza nel Medio Oriente e nel mondo. Con lo stesso entusiasmo, ottocento di loro (ma più di tremila erano quelli all’esterno) lo hanno accolto sabato pomeriggio nel centro giovanile con gli strumenti che gli appartengono: gli smartphone ben puntati in alto ad immortalare un attimo, la sciarpa bianca al collo con lo slogan della visita “Mir Vama”, Pace a Voi, t-shirt colorate, sorrisi, canti e balli. Una festa contagiosa anche per il Santo Padre che ha strappato il sorriso, ma anche suggerito riflessioni, a molti quando, invitando ad un corretto uso della tv e dei ‘social’ ha detto “io sono antico, dell’età della pietra”.

Nel Paese dai fiumi color smeraldo e dei ponti che li attraversano – il pensiero corre a quello di Visegrad caro allo scrittore Ivo Andric, a quello distrutto e ricostruito di Mostar, come a quello Latino sul fiume Miljacka, luogo di innesco della Prima Guerra Mondiale – , l’invito di Francesco ai giovani è di “costruire ponti, mai muri lasciando che si possa andare da una parte e dall’altra”. “Questa è la vostra vocazione – ha detto loro – Il ponte unisce sempre, ma quando non si usa per andare l’uno verso l’altro, ma è vietato, diventa la rovina di una città, la rovina di una esistenza. Fate in modo che si possa andare da una parte all’altra. Questa è fratellanza”.

Vivere insieme è possibile
, dunque, specialmente se a dettare le scelte di vita è la fede, qualunque essa sia. Le storie di Darko Majstorovic, cattolico, e Nadezda Mojsilovic, ortodossa, davanti al Santo Padre, hanno testimoniato un impegno concreto che abbatte paure e pregiudizi. “Voi non volete distruzione – sono le sue parole – vedo che non volete farvi nemici, stare gli uni contro gli altri, ma volete camminare insieme e questo è una cosa grande”.

Durante la messa davanti a 65mila persone
, tra cui moltissimi ragazzi, si era alzato il suo grido, “mai più la guerra”. Un appello “sempre attuale, che vale per ogni generazione”. “Tutti sono capaci di proclamare la pace, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera” aveva detto il Papa nell’omelia di sabato. “Fare la pace è un lavoro artigianale: richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia. Beati sono coloro che seminano pace con le loro azioni quotidiane, con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia”. Come i giovani conosciuti a Sarajevo. Il Papa con loro è anche esigente: “da voi io mi aspetto onestà fra ciò che pensate, sentite e fate. Il contrario si chiama ipocrisia”.