Mentre riparte ufficialmente il contatore del Dpcm – servono 14 giorni per osservare se le nuove misure adottate dal governo avranno un impatto (e quale) sulla curva dei contagi –, ripartono anche le polemiche sul fronte scientifico. Sono lontani i tempi in cui le raccomandazioni del Cts (o almeno della parte più rigorista di quest’ultimo) venivano prese alla lettera dal governo: anche stavolta, nonostante le pur dure decisioni prese sul fronte della vita sociale e delle chiusure delle attività, il premier ha optato per una linea tutto sommato soft. Quella su cui nessuno degli esperti arruolati dal governo s’è ufficialmente espresso, ma che è stata invece bocciata niente meno che da Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Speranza, che ha parlato di un intervento «di facciata», incapace di flettere l’impennata delle ultime settimane: «Le decisioni vanno prese prima – ha spiegato l’esperto, che è anche professore ordinario di Igiene all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma –. Io 2-3 settimane fa ho detto: ‘Siamo sulla lama del rasoio e dobbiamo prendere delle decisioni coraggiose, altrimenti ci troviamo ad avere 16mila casi prima di Natale’.
Gli asintomatici sono contagiosi?
Sì. Nelle persone ammalate con sintomi la carica virale è alta: è dunque più facile che trasmettano il virus ai contatti stretti attraverso colpi di tosse e starnuti. Tuttavia sono molti gli asintomatici – specie in questa seconda ondata – che hanno dimostrato di avere una carica virale altissima. Ecco perché dovrebbero essere sempre traccia
In realtà non sono state prese né dallo Stato né dalle Regioni queste decisioni coraggiose che vanno ad anticipare il virus, non a inseguirlo. Perché dal momento in cui hai un indice di contagio di 2,5 come ora in alcune parti del Paese, e hai decine di migliaia di focolai, non sei più in grado di contenerlo ma devi sempre mitigare. E diciamoci la verità, la mitigazione avviene solo con lockdownveri ». Il ragionamento è suffragato da uno studio pubblicato su Lancetla settimana scorsa da alcuni studiosi dell’Università di Edimburgo, che ha studiato le esperienze di 131 Paese nei mesi passati e mostrato come, quando la circolazione del virus ha le dimensioni che ha ad esempio in questo momento in Italia, in Francia e in Spagna, l’unica cosa che serve per rallentare l’indice di contagio è un lockdown. «Naturalmente non lo devi fare generalizzato, ma dove l’indice di contagio è alto, perché questo rallenta del 24% – ha proseguito Ricciardi –. Se lo abbini ad una chiusura mirata delle scuole aumenti questa dimensione del 15% e se fai uno smart working obbligatorio sia per il pubblico sia per il privato aumenti ancora del 13%, quindi arrivi ad una riduzione del 50-55%. La limitazione dei mezzi pubblici incide per un ulteriore 7% e questi effetti vengono visti dopo 8 giorni». Insomma, la strada è chiara ma «i governi esitano a prendere decisioni che servono al punto giusto, al momento giusto».
Tamponi e tracciamento servono ancora?
Sono indispensabili per tornare a tenere sotto controllo il virus, quando avremo superato il picco della seconda ondata. Il governo si sta organizzando per potenziare la macchina dei test: l’obiettivo principale è coinvolgere medici di base e pediatri nel tracciamento.
Scettico sull’utilità del Dpcm anche Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano: «Queste misure danno un colpo al cerchio e uno alla botte tra salute ed economia, ma non arrivano al punto giusto, perché continuano ad aumentare i contagi e i morti. I giovani non fanno il necessario per proteggersi – è l’opinione di Garattini – e c’è un eccesso di sovrapposizione tra governo, Regioni e Comuni, fanno tutti quello che vogliono. Mi pare che non ci sia una giusta percezione del problema, c’è chi dice di stare tranquilli e chi di stare attenti.
Quali sono adesso le maggiori criticità?
Il numero dei contagiati è talmente alto che non si riescono più a tracciare tutti i contatti a rischio: il risultato è che quasi la metà dei casi oggi non è riferibile a un focolaio certo. Se ci si arrendesse tuttavia, e si facessero tamponi solo sui sintomatici, sfuggirebbero ai controlli
Ma la verità è che bisogna stare attenti e adottare tutte le misure di prudenza necessarie». Della confusione imperante tra governo e Regioni, d’altronde, dice molto anche l’altro scontro di giornata, consumatosi sulla proposta dei governatori di modificare i criteri di tracciamento limitandosi ai tamponi sui soli sintomatici: una mossa che avrebbe senz’altro il risultato positivo (e immediato) di alleggerire i laboratori, ma che di fatto azzererebbe la possibilità di mappare le catene dei contagi e intervenire per contenere i focolai, già pesantemente compromessa. «Sarebbe una catastrofe, chi diffonde il virus va stanato subito.
Le Regioni vogliono scaricare la responsabilità di questo disastro e chiedono al governo di certificare la loro assoluzione» la reazione di Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia dell’Università di Padova. Dello stesso pare i fisici Giorgio Parisi ed Enzo Marinari dell’Università Sapienza di Roma, tra i 100 firmatari nei giorni scorsi dell’appello a Mattarella e Speranza per misure di contenimento dei contagi più severe: «Limitarsi ai test sui sintomatici significherebbe arrendersi completamente a perdere il tracciamento in modo definitivo; se non sappiamo più quanti siano gli asintomatici, questi potranno continuare a infettare». . Per fare due conti, stante la situazione attuale, sfuggirebbero in effetti ai controlli il 43,5% dei casi positivi: tanti sono quelli indicati da ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità (Iss) nel monitoraggio più recente, relativo al periodo dal 12 al 18 ottobre.
da avvenire.it