«Confrontarsi con il Signore incarnato nel malato»

«L’ospedale non è mai avulso dalla comunità. È vero per chi viene per recuperare la salute ed anche per quelli che danno il meglio della propria scienza e coscienza per ridare la salute, quando si può, e per consolare quando non si può».

Così Padre Gianfranco Lunardon, Quarto Consultore della Consulta Generale dell’ordine dei Camilliani ha salutato quanti hanno reso omaggio alla reliquia di San Camillo de Lellis presso l’ospedale provinciale di Rieti, durante la Messa nella cappella del nosocomio.

«Qui di fronte a noi c’è il cuore di San Camillo – ha spiegato padre Gianfranco – tecnicamente ha smesso di pulsare quattrocentouno anni fa. Ma molti altri cuori hanno cominciato a pulsare da quel momento in avanti». E per avvicinarsi all’essenza, alla ricchezza di questo cuore, il camilliano ha indicato tre parole: «mani, gionocchia e piedi».

Le mani

Le mani sono quelle con cui San Camillo toccava la carne dei malati. «Era la pragmatica dell’amore» ha spiegato padre Gianfranco: una «sberla solenne per noi moderni. Noi amiamo l’amore, ma non si ama l’amore: si amano le persone! Con tutta la fatica e il rischio del fallimento che questo comporta».

«Noi ci riempiamo tanto la bocca della centralità del malato, che è una cosa buona e santa» ha proseguito, ma sottolineando che a questo atteggiamento occorre aggiungere «una dimensione poietica: la dimensione del fare».

I piedi

Per questo «occorre muoversi», ha esortato il padre camilliano. «Il Vangelo ci mostra un Gesù che va, un Cristo perennemente in movimento. I piedi servono per spostarsi, e san Camillo li ha usati. Ha cominciato a girare per scovare i poveri, i malati, il “male magnum” di quelli che morivano soli, nelle case, perché il medico era appannaggio lussuosissimo di pochi».

«I piedi dicono anche una fatica – ha proseguito padre Gianfranco – spostarsi è sempre un rischio: è più facile stare seduti. Ma se non ti muovi non incontri, se non ci si muove non si trova. Noi diciamo di essere amanti della verità: sì, ma da seduti non si trova e neanche esplorando i nostri piccoli circuiti. I piedi di san Camillo erano sempre in movimento verso i malati, perché erano la sua fonte di verità, la sua scuola. Li chiamava “maestri”. La lezione che si apprende al letto del malato a volte ti umilia: è vita allo stato puro. Soprattutto quando uno muore: non ha tanto tempo da perdere. E se sei falso, un po’ ipocrita, te lo dice».

Le ginocchia

«Le ginocchia le tengo per ultime» ha detto il padre Camilliano. «San Camillo non è stato un filantropo. L’umanità che Camillo serviva – una umanità molto difficile – il santo la prendeva da Cristo: l’intelligenza, la coscienza, la volontà, la libertà del figlio di Dio. Intelligenza, coscienza, volontà e libertà crocifisse, quindi vere».

Ecco allora l’essenza, l’insegnamento che padre Gianfranco ha tratto dal cuore di san Camillo e consegnato agli operatori sanitari presenti nella cappella dell’ospedale: un percorso che parte dalla “pragmatica dell’amore” per andare incontro al sofferente, per scoprire la verità, per «confrontarsi con il Signore incarnato nel malato».