Comunità Emmanuel: quando il gioco diventa dipendenza

Secondo appuntamento con il ciclo di dialoghi avviato con gli operatori della Comunità Emmanuel, dedicato al gioco d’azzardo patologico

Secondo appuntamento con gli operatori della Comunità Emmanuel. Questa volta affrontiamo il tema del Gioco d’azzardo patologico (Gap). Per farlo abbiamo incontrato la dottoressa Barbara Mazzetti, educatrice volontaria della comunità.

Innanzitutto, come hai iniziato la tua attività nella comunità?
Ho iniziato a collaborare con la Comunità Emmanuel nel 2015 quando, insieme alla mia collega la dottoressa Federica Chiaia, ci è stata offerta la possibilità di svolgere uno stage formativo presso lo “Sportello informativo per la prevenzione e il trattamento del Gioco d’Azzardo Patologico e delle dipendenze”. Abbiamo svolto un corso regionale per operatori di sportello e abbiamo potuto osservare le varie attività terapeutiche che la Comunità offre ai propri utenti. Mi sono avvicinata alla Comunità in maniera graduale per non sconvolgere il delicato equilibrio familiare che si respira lì. L’esperienza è stata molto positiva, tanto da avermi spinto a incentrare la mia tesi di laurea magistrale in Psicologia applicata, clinica e della salute sul gioco d’azzardo e sull’esperienza fatta presso la Comunità che ho l’onore di frequentare ancora oggi.

Di cosa ti occupi adesso?
Oggi sono un’educatrice volontaria inserita all’interno dell’equipe psico-pedagogica. Maggiormente mi occupo di fornire un supporto agli utenti che hanno intrapreso, o intraprenderanno, un percorso formativo. L’istruzione e il conseguimento di un qualsiasi titolo di studio sono degli obiettivi fondamentali per il successivo reinserimento sociale e lavorativo. Permette alla persone di presentarsi in maniera diversa, aprendogli l’opportunità di ricercare un lavoro stabile e duraturo. Oltre a questo svolgo attività di progettazione, osservo un gruppo terapeutico e partecipo alla segreteria organizzativa di eventi che la Comunità mette in atto sul territorio. Lo scorso 11 febbraio, abbiamo svolto il convegno “Gioco d’azzardo e mitomania” con grande riscontro di pubblico venuto da diverse città del Centro Italia. Vogliamo far diventare Rieti un luogo importante per la formazione e la divulgazione psicologica e culturale.
Torniamo all’attività dello Sportello…
Lo Sportello è stato aperto, in partenariato con il Comune di Rieti, per un anno. Adesso rimane aperta la sede presso la Comunità e siamo sempre pronti a rispondere ai numeri telefonici 0746.755261 e 329.1005824. Lo sportello stato inserito all’interno del progetto regionale “Lazio in Gioco” che conta 51 sportelli territoriali. Le attività messe in campo riguardano la pubblicizzazione della sua apertura, con brochure e flyers e la pagina facebook “Sportello informativo Gap” ancora attiva, le attività di prevenzione e sensibilizzazione, gli incontri nelle scuole e l’attività dell’unità di strada.

Sulla base di questa esperienza, secondo te com’è percepito il Gap dalla società?
Si può sostanzialmente riscontrare una dicotomia. Chi vede nel Gap un problema sociale molto esteso e chi invece è completamente ignaro del problema. Nel 2016 il giro d’affari sul gioco d’azzardo ha toccato i 95 miliardi di euro e quasi un italiano su due, almeno una volta l’anno, si concede una giocata, magari un “Gratta e vinci” o un “Superenalotto”. Certo non tutti hanno un problema, ma in questa schiera di giocatori quasi un milione sono patologici e due milioni e mezzo sono compulsivi. La letteratura scientifica offre una classificazione dei giocatori d’azzardo: i giocatori sociali, i giocatori compulsivi o problematici e i giocatori patologici. Nella seconda e terza categoria di persone, il gioco non è più un’attività ludica dell’individuo, ma diventa l’accentratore di tutte le attività e di tutte le spese, fino a condizionarne l’intera vita.

Che cosa rende così insidioso il Gap?
Sicuramente ha un ruolo rilevante la capillare divulgazione dei giochi d’azzardo legali. Quasi in tutti i bar e le tabaccherie si può giocare d’azzardo e alcuni supermercati, anche della città, offrono alla cassa “Gratta e vinci” in cambio del resto. Si entra per bere un caffè o fare spesa e si viene invitati a tentare la fortuna. Non si possono, però, scaricare le colpe sugli esercenti. È lo Stato centrale il primo a mostrare il tallone di Achille: da un lato questa industria apporta alle casse statali il terzo maggior introito erariale nazionale e dall’altro è sempre lo Stato a mettere in campo strumenti che tentano di contrastare la dipendenza. Lo slogan “Gioca responsabile” riassume proprio tale concetto.

Cosa sarebbe necessario, allora, per affrontare nel miglior modo possibile questo problema?
Già sono messe in campo diverse strategie di intervento, sia preventive che trattamentali. La Comunità offre un’equipe multidisciplinare disponibile a interfacciarsi per qualsiasi domanda di intervento o richiesta di informazioni. Noi non ci muoviamo nell’ottica di demonizzare il gioco d’azzardo, che sarebbe una battaglia al pari di Davide contro Golia, ma vogliamo promuovere la componente “gioco”. Mi spiego meglio. Si è sempre giocato d’azzardo fin dagli albori della civiltà umana. Si giocava agli astragali, ossicini quadrati usati come dadi, per predire il futuro nell’Antica Grecia e noi tutti abbiamo giocato nella nostra infanzia. Il gioco, che nella componente patologica si è inflazionato, deve essere ricondotto alla sua natura ontologica originaria per il proprio ruolo di essere un veicolo di apprendimento, crescita e mezzo per la conoscenza e la strutturazione delle relazioni.