Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi: la IX e la X GMG

Gesù manda i suoi discepoli a testimoniare quello che hanno visto e sentito (Gv 20,21), a raccontare la novità del Signore che si fa uomo, offrendo a tutti la resurrezione nel nome dell’amore vicendevole, a parlare di un Dio che cammina accanto all’umanità, prendendola per mano e dandole conforto e sostegno.

Un messaggio forte, carico di speranza e di responsabilità verso sé stessi e il prossimo. La portata dell’indicazione missionaria è talmente importante che san Giovanni Paolo II la propose per due successive GMG: la prima, quella celebrata a livello diocesano del 1994, la seconda quella di Manila, nelle Filippine, svoltasi tra il 10 e il 15 gennaio del 1995.

Nessuna, delle GMG precedenti a quella del 1995, aveva mai avuto tanti partecipanti, circa 5 milioni di persone, un record ancora oggi imbattuto e inserito nel Guinness dei primati. Vi furono persino le rappresentanze di tutte le comunità cattoliche cinesi e al termine della Celebrazione Eucaristica a “Luneta Park”, il Papa salutò in mandarino.

È chiaro che il Pontefice volle provocare tutti i giovani del mondo a riconoscere, nelle parole del vangelo di Giovanni, un invito a loro rivolto da parte di Gesù, una precisa chiamata a testimoniare la fede nella Sua persona. Ecco le parole del Papa tratte dal messaggio preparatorio del novembre 1993: “Ancora una volta, a convocare i giovani di tutto il mondo è Gesù Cristo, centro della nostra vita, radice della nostra fede, ragione della nostra speranza, sorgente della nostra carità. Chiamati da Lui, i giovani di ogni angolo del pianeta si interrogano sul proprio impegno per la «nuova evangelizzazione», nel solco della missione affidata agli Apostoli ed alla quale ogni cristiano, in ragione del suo Battesimo e della sua appartenenza alla Comunità ecclesiale, è chiamato a partecipare”.

Sono parole che parlano direttamente al cuore dei giovani perché spingono a riconoscere a Gesù, l’indiscutibile primato di aver dato la vita per tutti, e in virtù del suo eroismo, chiede a tutti di dare la propria per il prossimo: poveri, emarginati, rifugiati, deboli, indifesi, malati, migranti, ma anche nei media e nelle comunicazioni sociali. In questa dinamica relazionale e di donazione, si rintraccia la visione antropologia che Papa Wojtyla ricordò ai giovani: “con Gesù, si rivela questa nuova visione antropologica: l’uomo è veramente l’essere più perfetto tra tutti gli esseri creati da Dio, ma questo essere così perfetto non realizza sé stesso se non attraverso il dono sincero di sé”.

Il dato teologico che il Pontefice sottolineò è l’idea che l’uomo raggiunge la perfezione tramite il dono di sé agli altri. Nel mandato che Gesù esprime verso i suoi discepoli, e quindi verso i giovani, è implicitamente racchiusa la dimensione della donazione. Nel rispondere al mandato non c’è soltanto una mera richiesta o un’opportunità, perché, tanto la risposta alla chiamata, quanto la donazione di sé, il servire, sono due facce della stessa medaglia, la perfezione di sé. È in questo modo che ciascun battezzato, e in modo particolare i giovani, possono accogliere l’invito ad essere “messaggeri della Grazia, messaggeri dell’amore” perché “La salvezza, che ci è stata offerta, è un dono da non tenere gelosamente nascosto. E’ come la luce del sole, che per sua natura squarcia le tenebre; è come l’acqua di limpida sorgente, che sgorga inarrestabile dal cuore della roccia. Ai giovani la Chiesa affida il compito di gridare al mondo la gioia che scaturisce dall’aver incontrato Cristo”.

Nelle parole che il Papa rivolse ai giovani, continuamente ricordò loro di divenire “ardenti comunicatori della Parola che salva”, di lasciarsi “sedurre” da Cristo, di essere costruttori di Pace le cui radici “stanno dentro il cuore di ciascuno, se sa aprirsi all’augurio del Redentore risorto”.