Da queste colonne abbiamo spesso riflettuto sul problema degli “spazi della cultura”. Una questione che si sono posta anche altre persone, in qualche caso provando anche a fare una loro proposta, a mettere in campo una loro soluzione.
«Il caffè letterario? È un sogno, un modo di vedere il mondo». Ce lo dice Roberta Feliciangeli da dietro il bancone del Caffè Letterario Moderna. «L’idea di fondo è quella di mettere a disposizione un posto in cui le persone possano venire a mettere qualcosa in comune. Un posto da cui possano partire le idee. Uno spazio che la gente può usare per incontrarsi. È solo nello scambio di pensieri che nascono i progetti. È con lo scambio che si realizzano le cose. È l’unico modo, è sempre stato così. Cerchiamo di essere un luogo che dà occasioni di conversazione. Quando si parla inevitabilmente si condivide qualcosa. Credo che oggi sia passata l’idea che il nostro pensiero e le nostre azioni siano talmente diluite nel mare del mondo da non contare niente. Ma non è così. Perché tanti singoli fanno una comunità. E la comunità può cambiare le cose».
Quindi c’era bisogno di un’iniziativa come questa…
Ce n’era di sicuro nella mia visione del mondo. In un momento in cui siamo tutti così… spaventati: un posto in cui poter mettere in comune un pensiero è importante. Quando le persone hanno paura danno vita a cose poco piacevoli. E non è bello questo clima in cui ci stanno facendo vivere. Abbiamo risorse per uscirne e ci dobbiamo credere. È l’unico modo: ognuno con le sue convinzioni: chi con la fede, chi con le azioni, chi con il pensiero. L’essere umano è mosso sempre dalle stesse motivazioni: ognuno gli dà il nome che crede, ma ci sentiamo tutti parte di qualcosa di più grande, sennò non sopravviveremmo.
Sembra quasi un discorso ecclesiale!
Io penso che il fatto che la Chiesa sia arretrata da queste posizioni abbia lasciato un po’ di vuoto. Gli esseri umani non ce la fanno a vivere soli. La solitudine è una condizione importante, ma è frutto di una grande capacità di compassione. Uno riesce a stare solo se è capace di stare in mezzo a tutto, uomini e natura. In questa direzione anche il pensiero religioso avrebbe una grande importanza.
Credi che la Chiesa abbia consapevolezza di queste necessità?
Beh, la chiesa è chiusa in certi orari. Anche questo è un segno di come si pongono le cose. Non si deve avere paura. È il primo luogo in cui poter trovare fiducia. Non dobbiamo essere chiusi al fatto che ognuno ha diritto alla propria visione del mondo. Ma è il ruolo sociale quello che ci ha affascinato dei papi degli ultimi anni.
Quindi c’è necessità di un ruolo sociale della Chiesa…
Certo, ma la Chiesa ha ceduto questo genere di responsabilità, tenendo per sé più una sfera “politica”. Oggi servirebbe un altro san Francesco a reggere le mura della Chiesa. Il Papa credo non a caso ha scelto questo nome. San Francesco ci ha insegnato qualcosa di importante. La figura di Francesco ci affascina non perché è un mistico, ma perché è stato uomo e ha compreso il bisogno della compassione. È necessario che gli esseri umani comincino di nuovo a sentirsi padre, madre, fratello e sorella di tutti – e non in una visione esclusivamente cattolica, ma di umanità – o dell’uomo rimane solo l’involucro.
Questo è vero per la Chiesa universale, e per quella locale?
Vale ancora di più. Sono le piccole comunità che possono far rinascere questo pensiero. L’isolamento in cui si trova una piccola comunità è ancora più sconfortante perché gli strumenti per evitarlo ci sarebbero tutti. Se io con fatica tengo aperto un posto come questo è perché non voglio che la gente abbia paura. Non voglio che la gente si senta sola. Non c’è altro modo di stare al mondo per come la vedo io.
Tornando al Caffè letterario, viene da dire che si accompagna con una visione sociale dell’impresa…
Assolutamente sì. Qui dentro c’è un progetto etico. Prendo i prodotti del territorio: le pastarelle le prendo dalla famiglia Napoleone perché è una famiglia che fa impresa su questo territorio, il caffè è della Torrefazione Olimpica perché è una famiglia che fa impresa sul territorio, i vini sono tutti di piccole realtà regionali che producono vino di generazione in generazione. L’impresa deve essere etica: perché o cediamo all’idea che il modo sta in mano a due grandi colossi e tutti subiamo, siamo ingranaggi di un meccanismo, oppure cerchiamo di pensare un mondo diverso. E se lo pensiamo ci dobbiamo rimboccare le maniche e fare in modo che prenda sostanza.
Anche nella piccola città?
Soprattutto nella piccola città. I comuni sono stati il fiore all’occhiello dell’Italia. Il locale è la risorsa del mondo. Il “locale nel globale” si può fare.