A volte, quando i preti si rivolgono ai fedeli sono un po’ petulanti. Ad esempio sui temi della famiglia, forse perché la vivono solo da fruitori, da comparse e non da protagonisti, da oggetto di attenzione e mai da soggetti. Forse però, ad aprire il cuore, si può trasformare il monologo in dialogo, in un confronto franco e sincero, per mettere sul piatto anche quello che spesso i sacerdoti si dimentichiamo di dire.
Primi testimoni della fede dei propri figli sono i genitori: «N.N. sei diventato nuova creatura e ti sei rivestito di Cristo. Questa veste bianca sia segno della tua nuova dignità: aiutato dalle parole e dall’esempio dei tuoi cari, portala senza macchia per la vita eterna».
«Ricevete la luce di Cristo, a voi genitori, padrini e madrine, è affidato questo segno pasquale, fiamma che sempre dovete alimentare. Abbiate cura che i vostri bambini, illuminati da Cristo, vivano sempre come figli della luce».
Con la consegna della veste bianca e della candela accesa al cero pasquale, data ai neo battezzati e alle loro famiglie si conclude il rito del battesimo. Spesso entrambi i gesti, che non di rado comportano un po’ di trambusto, fanno scivolar via l’attenzione dalle parole che al gesto si accompagnano: «Aiutato dalle parole e dall’esempio dei tuoi cari […]; Abbiate cura che i vostri bambini […] vivano come figli della luce».
Aver cura e aiutare con la parola e con l’esempio la crescita nella fede dei propri figli è un impegno chiaro, inequivocabile, assunto dai genitori. La loro parola, una parola pronunciata davanti a Dio, ai suoi ministri, alla comunità intera, dovrebbe essere una parola affidabile, una assunzione di responsabilità che ogni giorno dovrebbe interpellarli. È questa responsabilità che dovrebbe far passare loro notti insonni, è un impegno che dovrebbero sentir bruciare sulla loro pelle, pulsare nel loro cuore. Il sì pronunciato nel giorno del battesimo, fa seguito a quello pronunciato durante le nozze. «Siete disposti ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?». Ovviamente si è risposto di sì, altrimenti il rito si sarebbe concluso in quell’istante e non sarebbe potuto proseguire oltre.
«Che pizza – dirà qualcuno – questi preti non pensano ad altro che puntare il dito sulla nostra responsabilità, non perdono occasione per rinfacciarci gli impegni che abbiamo preso, non pensano minimamente alle difficoltà cui dobbiamo far fronte ogni giorno».
È vero, noi preti, a volte siamo un po’ petulanti. Scusateci! Sarà forse perché noi la famiglia l’abbiamo vissuta solo da fruitori, da comparse e non da protagonisti, da oggetto di attenzione e mai da soggetti sulle cui spalle gravava l’onere di tirare il carro sempre e comunque. Sarà forse perché viviamo un mondo tutto nostro, con le sue inevitabili difficoltà, ma quando abbiamo pensato per noi, tutto finisce lì, non abbiamo nessuno di cui farci carico una volta chiusa la porta di casa. Forse sarà perché certe dinamiche non ci coinvolgono fin nel midollo e non ci perseguitano fin sotto le lenzuola.
Eppure se qualcuno dei genitori, decidesse di prestare ascolto, permettendo al mio dire di trasformarsi da monologo in dialogo, con discrezione vorrei poter intessere con voi un confronto franco e sincero, per dire quello che spesso noi preti ci dimentichiamo di dire.
Anzitutto vorrei fare a voi i miei complimenti. Se Dio vi affida una responsabilità, ciò significa che, prima ancora di addossarvi sulle spalle un ulteriore peso, è segno della grande fiducia che Egli ha nei vostri confronti.
I figli non appartengono a voi, non sono vostra proprietà privata, non sono stati fatti da voi, sono una realtà donata da accogliere con trepidazione e con stupore: «Siete disposti ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarvi». Ogni figlio ricevuto è segno che Dio ha fiducia di voi, vi ritiene degni e capaci di custodire qualcosa che appartiene a Lui e ve lo affida in custodia. Dio ha deciso che siete all’altezza di un compito e di una vocazione così grande ed esalante: essere padre e madre.
Quando la Chiesa, vi ricorda la vostra responsabilità, anzitutto, fa memoria con voi della fiducia che Dio vi ha accordato, ed anche la Chiesa non può che gioire e inorgoglirsi, per voi e con voi, per questo attestato di fiducia.
Scusateci, se a volte, i nostri giudizi su di voi, sono poco lusinghieri, un po’ tagliati con l’accetta, un po’ grossolani. Noi guardiamo l’esterno, solo Dio guarda il cuore ed evidentemente ha visto nel vostro cuore qualcosa che a noi sfugge e che dovremmo intercettare per sintonizzarci col “giudizio” di Dio: siete degni di fede!
Ma come ogni dono, il dono di un figlio e la fiducia accordatavi, sono pregni di conseguenze. Ogni dono porta con sé una responsabilità, ogni fiducia ricevuta obbliga ad essere uomini e donne di parole affidabili.
Alle vostre parole affidabili devono potersi affidare i vostri figli nella certezza che la parola dell’accoglienza amorosa da voi pronunciata non si perda per strada, ed essi vi si possano aggrappare con fiducia tutti i giorni, anche in quelli un po’ più complicati, anche in quelli in cui potrebbe farsi strada la possibilità dell’abbandono. Sapeste quanto i vostri figli temono di doversi trasformare in naufraghi non potendosi più aggrappare all’áncora sicura della vostra parola affidabile.
Anche la Chiesa desidera non dover mettere in dubbio l’affidabilità della vostra promessa ed è per questo che si fida di voi e, se e quando vi sprona, se e quando vi chiede una rinnovata assunzione di responsabilità, lo fa solo perché sa di poter contare su di voi; perché tra voi e la comunità ecclesiale è stato stretto un vincolo, una alleanza, una complicità, sigillata dal sacramento del vostro matrimonio prima e del battesimo dei vostri figli dopo.
La comunità cristiana ha tanto fiducia in voi, tanto vi apprezza, tanto vi stima che non teme di applicare a voi la parola che più la designa, la descrive, la indica come realtà pronunciata, messa al mondo, amata e convocata da Dio: Chiesa. Essere Chiesa è un dono immeritato, non è un vanto, ma l’umile accoglienza di una Parola che nel sangue della vita donata del Signore Gesù l’ha chiamata all’esistenza.
La Chiesa è la Sposa amata dal Signore, su di lei si posa lo sguardo di Colui che ha annientato se stesso per la sua vita. La Chiesa non considera tutto questo un suo privilegio, quasi un potere da far gestire ai suoi ministri. Con voi la Chiesa condivide la sua essenza, conferendo ad ogni famiglia la dignità di Chiesa domenistica.
La Chiesa ha tanta fiducia in voi da considerarvi, assieme ai vostri figli, una piccola Chiesa che vive tra le mura della vostra casa.
C’è un’intima connessione tra la famiglia e la Chiesa: la Chiesa è tanto più Chiesa quanto più è famiglia (comunità di servi che vivono nel reciproco fraterno servizio); la famiglia è tanto più famiglia quanto più è Chiesa (popolo radunato dall’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo).
La Famiglia Piccola Chiesa, vive dell’amore oblativo di Cristo, del suo sangue versato, del suo corpo offerto per la vita degli altri; vive di parole di benedizione e di rendimento di grazie; vive di uno sguardo rivolto al cielo; vive della capacità di non trattenere per sé, ma di spezzare e distribuire; vive della folle convinzione che il “destino” di ciascuno è quello di essere cibo per la vita dell’altro; vive del sogno che la riconciliazione e il perdono sono sempre possibili, ma ciò richiede di versare il proprio sangue; vive della felice e fedele intuizione di essere riflesso e anticipazione della comunione trinitaria, dove la felicità di ciascuno è racchiusa nel desiderio di rendere felice qualcun altro.
Scusatemi! Mi sono appena accorto che sto parlando da prete, con un linguaggio poco vicino alla vostra realtà quotidiana. Avete ragione. Ma vi assicuro che quanto detto ha un riflesso quotidiano sulla vostra vita di tutti i giorni e non sono solo parolone clericali usate per barare. Non ne siete convinti? Vi prometto che la prossima volta giocherò a carte scoperte.