Papa Francesco pone gesti forti e profetici a favore dei poveri e degli ultimi. Forse gli episcopati occidentali dovrebbero svegliarsi dal torpore e richiamare i governi e le istituzioni internazionali ad una maggiore giustizia sociale, a una solidarietà che metta l’uomo al centro della propria attenzione. E dire fortemente di no alla “logica del profitto” che caratterizza l’Occidente.
L’Africa non dovrebbe accontentarsi dell’elemosina che viene dall’Occidente. È umiliante. Se disponesse di pace e democrazia, sarebbe l’Africa a sfamare gli altri popoli.
La Chiesa Africana dovrebbe esprimere in tutte le sedi nazionali e internazionali la consapevolezza di questo suo potenziale. L’etichetta del “continente povero” è soprattutto un comodo paravento, dietro al quale giocano e godono le ONG, le agenzie dell’ONU, e i settori di Asia, America ed Europa dediti alle speculazioni.
L’Africa non è povera: ha bisogno di riorganizzare l’economia in funzione del proprio sviluppo e della propria crescita. Lo ha sottolineato anche Papa Benedetto XVI durante la sua visita nel Benin per la consegna della esortazione post sinodale.
Tutte le diocesi dell’Africa sub-sahariana sono immerse nella foresta equatoriale: hanno l’acqua (fiumi, oceani), le materie prime, e una terra fertilissima. I missionari della prima evangelizzazione non si lamentavano mai della fame. E anche oggi ci sarebbero le terre da arare e il bestiame da allevare.
Ma ci sarebbero pure da promuovere le facoltà di medicine e le scuole infermieristiche per favorire igiene e salute e contrastare morti fin troppo precoci di fronte alla longevità dell’Occidente. Anche la medicina tradizionale africana sarebbe da riscoprire: può tornare utile nella lotta contro alcune malattie endemiche e pandemiche.
Insieme si dovrebbero promuovere le facoltà di politecnica e di architettura: ci sono strutture abitative da ripensare, strade e ponti da costruire. Ci vorrebbe un’università tecnica, per la promozione dello sviluppo, ed una umanistica, per la conservazione e il sostegno della ricchezza umanistica del continente nero.
Ci sono una cultura africana, una filosofia africana e una teologia africana. Anche la formazione religiosa dovrebbe tenerne conto. Gli studi di preparazione al sacerdozio dovrebbero essere impostati diversamente.
Dovrebbero dare maggiore importanza alla formazione di un clero attento allo sviluppo e al benessere. Non dovrebbero rassegnarsi agli africani “oziosi” e “improduttivi” che pullulano nei conventi, nei noviziati, nei seminari maggiori. E quanto bene proverrebbe da una Propaganda Fide in cerca di strade nuove, che non copiano stancamente il modello di vita religiosa degli istituti religiosi occidentali?
Ci sembrano questi gli obiettivi su cui gli africani dovrebbero lavorare. Inutile sperare in una carità pelosa: è compito dell’Africa convincere le controparti europee, asiatiche ed americane di quanto la risurrezione del Continente vorrebbe dire in termini di sviluppo, benessere, pace e solidarietà per tutti.
E su questa strada la Chiesa Africana può giocare un grande ruolo. Non c’è rivoluzione economica senza rivoluzione morale! I popoli dell’Africa sub-sahariana hanno un’umanità profonda e bella.
C’è ancora il senso del “bene comune” nelle popolazioni. Si può quindi sperare in un futuro migliore, sapendo che l’autentico carattere africano non è materialista, ma “vitalista”. È attaccato alla vita e alla sua bellezza.
Un modo di essere che può camminare su una sola strada: quella del rispetto dell’alterità e dell’incontro con l’altro con il quale costruire un mondo migliore.