Le carrube dei maiali

Non possiamo che sobbalzare di sdegno di fronte all’orribile destino delle tre suore saveriane in Burundi.

Il nostro pensiero va a loro, che hanno dedicato l’intera vita alla missione, portando Gesù e il suo amore in terre remote, ai bisognosi e ai lontani.

Ho conosciuto tanti missionari, consacrati e laici, giovani e anziani. Parlandomi della loro “Africa”, della loro esperienza, sprizzavano gioa e entusiasmo da tutti i pori. Tutti hanno riconosciuto il loro “mal d’Africa”, quella passione che ti trattiene e con difficoltà ti fa tornare alla tua terra.

Così era sicuramente per le tre sorelle saveriane, anche se hanno dato il loro sangue per amore di Dio, per amore del prossimo.

Ancora una volta è la Chiesa ad insegnarci la vita: la missione è aiutare il prossimo nel luogo in cui il Signore ha deciso che nascesse; agevolarne la vita quotidiana con gli insegnamenti positivi che la civiltà occidentale, nel suo lato migliore, può dare; aiutare le comunità di quei luoghi a crescere, a svilupparsi e soprattutto a conoscere che c’è un Dio che ama l’uomo, che odia le guerre e la violenza.

Più di una volta gli organismi internazionali hanno proposto di aiutare le popolazioni in difficoltà direttamente nella loro terra e più di una volta sono rimaste parole. Quante tragedie di barconi che attraversano mari tempestosi si potrebbero evitare? Quante vittime del nuovo mercato degli schiavi si potrebbero salvare?

Ho conosciuto, tempo fa, davanti alla nostra cattedrale, un giovane del Ruanda, da qualche anno in Italia, di nome Benjamin (credo che si scriva così). Ha la stessa età della mia figlia più grande, ventinove anni, di cui gli ultimi trascorsi nella nostra terra, una moglie e una figlia piccola nel suo paese. Nelle mattinate in cui presto il mio servizio volontario in cattedrale dialogavo con lui. L’ho visto aiutare le anziane che salgono i gradini per andare a Messa. Con il sorriso a fine mattinata riusciva a mettere insieme qualche euro.

Cercava lavoro da noi e non lo trovava. Poi gli hanno offerto di occuparsi di un maneggio di cavalli, con annesso porcilaio: giorno e notte per dieci euro al giorno.

Non ho più visto Benjamin sugli scalini della cattedrale, non so che fine abbia fatto, non so più nulla della sua scelta di vita. Ma pensando a lui ho meditato sulla parabola del “Figliol prodigo” (Lc 15,11-32). Anche in quella storia c’è un giovane – anche se in un contesto ben diverso – costretto a mangiare le carrube dei maiali. Decide di tornare a casa sua.

Così mi auguro per Benjamin, anche se nella sua terra c’è la fame e la guerra. Ma è lì che il Signore lo ha posto. Forse, se l’avesse incontrato nelle suore saveriane, sarebbe stato consigliato a rimanere, a combattere per la pace, ad impegnarsi in ogni modo, vivendo pienamente la sua vita.

Non è andando a fare gli schiavi in paesi resi ostili dalla crisi che queste persone possono costruire il proprio futuro e quello delle loro famiglie.

Vale per Benjamin come per i giovani che troviamo davanti ai supermercati: aspettano l’euro del carrello o vendono stracci presi chissà dove e da chi; ragazzi nel pieno della gioventù, della forza, sottratti alla loro terra per un sogno irrealizzabile. Magari sono diplomati o laureati, ma sembrano come privati dello slancio vitale, dell’energia che il Signore dona ad ogni creatura per sviluppare e realizzare il suo sogno di amore.

Tante contraddizioni alle quali ognuno di noi può rispondere solo con la carità cristiana, guardando in faccia chi chiede anche solo le briciole, accogliendo quanti bussano alla porta della nostra vita.

Altrimenti verrebbe meno il senso di una esistenza vera, solidale e aperta alla realtà. A volte si apre al nostro sguardo uno scenario duro, una realtà che ha bisogno di coraggio, di passione, di dedizione soprattutto verso il nostro prossimo. Di un amore splendidamente testimoniato dalle tre suore uccise in Burundi.

Sicuramente, già sono nella schiera degli angeli, accanto al Signore a cui hanno dedicato la loro esistenza riconoscendolo nel prossimo.