Carri armati democratici

Si fa presto a dire guerra. Soprattutto se quella in questione sarebbe “fredda”, espressione ormai abusata. Prima di parlare di seconda guerra di Crimea o terzo conflitto mondiale, aspettiamo che la situazione si chiarisca e non arrampichiamoci in sottili speculazioni geopolitiche.

Un aspetto della questione è particolarmente interessante e inedito. La maggioranza della popolazione della Crimea è russa, per cui lo scontatissimo referendum organizzato dalle autorità locali, ha rilevato una schiacciante maggioranza a favore dei separatisti. Per una volta le ragioni del più forte coincidono con quelle del popolo.

Naturalmente il panorama è molto più complesso, ma il nuovo governo ucraino filo europeo è molto impopolare nella penisola del Mar Nero. E il presidente Putin sembra altrettanto determinato a “riconquistare” quella terra, generosamente concessa da Nikita Chruščëv durante l’Unione Sovietica in occasione di un anniversario.

Il punto è: se il principio democratico è alla base delle società evolute, come valutare decisioni collettive vicine a posizioni autoritarie? In fondo l’idea di guerra democraticamente giustificata non è nuova, ma in questo caso sono i “cattivi” ad avere l’appoggio della popolazione.

Forse le armi acclamate fanno meno morti? Non sembra proprio. Ma del resto quale argomento opporre a simili ragionamenti, se in tutta Europa ci sono movimenti che invocano a gran voce un ripristino della sovranità popolare?

Un principio ce lo suggerisce il primo articolo della costituzione. Non c’è democrazia senza regole. Da qui a capire se un referendum è legittimo o meno ce ne vuole, però il metodo non può che essere quello della libera discussione e i cannoni non aiutano certo a pensare, neanche quelli dei carri armati democratici.

di Caterina D’Ippoliti e Samuele Paolucci

3 thoughts on “Carri armati democratici”

  1. Aurora G.

    Il referendum in Crimea apre degli spiragli importanti in quella che può essere considerata una delle diatribe più interessanti nel diritto internazionale, in quanto porta a interrogarsi su quali principi debbano prevalere, se quello dell’Integrità dello Stato oppure il Principio di Autodeterminazione dei Popoli. Quest’ultimo è una norma di diritto internazionale appartenente alla categoria del “Diritto Cogente” o “Jus Cogens”, la quale prevede l’inderogabilità delle norme che ogni stato membro della comunità internazionale è obbligato a rispettare (per chiarezza un altro esempio di Jus Cogens è il divieto di genocidio). Di fatto però il Principio di Autodeterminazione dei popoli non viene applicato a quelle che sono considerate come minoranze etniche o culturali all’interno di uno stato.
    Le applicazioni sono sempre state discordanti e discontinue, spesso stabilite in base a criteri politici ed economici, basti pensare a quella che è stata la disgregazione della Ex federazione Jugoslava e tutte le vicende che hanno ruotato intorno alla regione autonoma del Kosovo.
    Un’altro principio tirato in causa da questa situazione è il principio della “Responsabilità di proteggere”, di recente introduzione nel panorama internazionale, il quale stabilisce che lo stato ha la responsabilità di proteggere i suoi cittadini e, in caso di sua mancanza, la comunità internazionale subentra nella responsabilità. Questo principio è stato usato come giustificazione all’intervento NATO in Libia nel 2011. Nel 2008, sempre la Russia di Putin, ha cercato di utilizzare questo pretesto come giustificazione per l’aggressione alla Georgia e l’invasione delle regioni autonome confinanti caratterizzate da una popolazione a maggioranza Russa.
    La situazione Ucraina è importantissima non solo per il discorso di establishment del diritto internazionale o degli equilibri geopolitici. In questo contenzioso si stanno ridisegnando gli equilibri di potere e i giochi di influenze che interessano il continente Euroasiatico con lo spauracchio di un improvviso aumento della tensione. Non si può già parlare di seconda Guerra fredda o di imperialismi però sta di fatto che la Russia di Putin sta lavorando alla creazione della Federazione Euroasiatica (dichiarazione del 2011) in risposta alla crescente influenza Europea e Americana in quelle che erano le zone della vecchia URSS.
    La crisi Ucraina quindi è estremamente rilevante perché mette in risalto la fragilità del sistema internazionale e gli equilibri politici ed economici sinora stabiliti. L’elevata interdipendenza delle economie e la dipendenza energetica dalle fonti fossili non permette una politica coercitiva seria ed efficace. Dato che il Diritto Internazionale si fonda principalmente sulla prassi e quindi sul comportamento degli stati che diventa regola, allora l’idea che un singolo stato sia legittimato a intervenire direttamente per tutelare gli interessi dei suoi cittadini o di una identità linguistica e culturale risulta estremamente pericolosa. Posto in questo modo il discorso sembra logico, ma basta applicarlo magari a un contesto a noi vicino per palesarne l’effetto destabilizzante. Cosa succederebbe se l’Austria decidesse di invadere il Sud Tirolo per difendere la maggioranza austriaca dal Governo Italiano? O se l’Italia invadesse la Svizzera per tutelare il Canton Ticino. O se la Cina decidesse di invadere la Siberia Orientale?
    Quello su cui bisogna interrogarsi non è tanto l’applicabilità delle norme o la legittimità di un referendum, la vera sfida è, quanto siamo noi consapevoli di quello che ci accade intorno? Quanto veniamo manipolati e indirizzati da quella che a tratti è una spinta irrazionale e isterica verso soluzioni che dissipano le energie che altrimenti potrebbero essere utilizzate per stimolare quei processi di crescita sociale così necessari? Questa crisi può essere un ottimo test per capire quanto stiamo veramente comprendendo il mondo che ci circonda e quanto siamo consapevoli dell’inestricabile interdipendenza tra gli stati. Interdipendenza che non può essere arginata ne eliminata.
    Quindi il referendum in Crimea è tutto tranne che una manifestazione di democrazia diretta o della volontà di un Popolo di decidere il proprio destino bensì una perfetta rappresentazione di come la manipolazione mediatica e il peso delle decisioni economiche siano il motore della manifestazione popolare e di come il “Popolo” non sia ne conscio ne maturo per poter decidere il proprio destino.

    1. samuele paolucci

      la ringrazio per le informazioni che ci ha dato e credo che l’intento dell’articolo era proprio quello di riflettere sulla natura e sul ruolo della democrazia (se e quando si possa parlare di democrazia) esattamente come fa notare a conclusione del suo commento.

  2. Daniele

    Come può essere definito “Referendum” quanto accaduto in Crimea?
    Le forze armate russe hanno preso il controllo della regione al di fuori di ogni logica basata sul diritto internazionale, è stata posta in essere una massiccia campagna propagandistica filorussa (basti pensare al farneticante manifesto di cui sopra con una Crimea dipinta come di fronte ad una scelta epocale addirittura tra una sorta di “Neo Nazionalsocialismo Ucraino” e Russia..) e se ciò non bastasse sono stati più volte bloccati alla frontiera gli osservatori dell’Osce…
    Ma di cosa stiamo parlando ?
    Un conto è il diritto internazionale, un conto è una forzatura dello stesso attraverso la sua palese manipolazione e voluta stortura.
    Un caso come quello della Crimea dovrebbe far riflettere noi tutti.
    Si aprono scenari a dir poco paradossali e sconcertanti.
    Dovremmo forse arrivare al “blocco etnico” alle frontiere non si sa mai un domani una maggioranza di qualsivoglia altro paese dovesse autoproclamare la propria indipendenza sul suolo di un altro stato sovrano ?
    Per dirne una vicino alla “boutade”, Prato in Toscana andrebbe forse proclamata area a statuto speciale o meglio ancora annessa alla Cina con apposito referendum ?
    Suvvia, la Russia ha perso a furor di popolo l’influenza su un’area quale è l’Ucraina.
    Quanto posto in essere in Crimea resterà nei libri di storia come una pagina di cui la Russia dovrà sempre vergognarsi

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