Care Leavers Network: mettersi in rete per far sentire la propria voce

L’iniziativa, promossa dall’Associazione Agevolando, coinvolge i ragazzi, tra i 16 e i 25 anni, in un percorso di partecipazione e cittadinanza attiva. A garanti, giudici, tutori, assistenti sociali, educatori i giovani chiedono più ascolto; ai media più sensibilità e meno stereotipi

Una rete informale di ragazzi ospiti ed ex-ospiti di comunità educative, famiglie affidatarie e case famiglia, coinvolti in un percorso di partecipazione e cittadinanza attiva. È il progetto “Care Leavers Network”, sostenuto e promosso dall’Associazione Agevolando con la finalità di“promuovere attività di scambio e riflessione, proporre suggerimenti e idee per orientare le politiche e gli interventi concreti fondamentali da attuare nelle comunità, creare momenti di aggregazione, di confronto e arricchimento reciproco tra i partecipanti”.“Care Leavers Network è un progetto importante: i ragazzi sono i protagonisti del presente e gli adulti del domani. Bisogna investire su di loro e non lasciarli soli, ma accompagnarli nel percorso verso l’autonomia”, commenta Filomena Albano, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, che ha sostenuto attivamente il progetto.

Fare rete. “Il progetto – spiega Diletta Mauri, coordinatrice del Care Leavers Network Italia – è partito in via sperimentale nel 2014 coinvolgendo l’Emilia Romagna. Dal 2015 è stata firmata una convenzione con l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza che ha permesso di allargare l’esperienza ad altre regioni: PiemonteTrentino Alto AdigeVenetoCampania e Sardegna.

L’obiettivo è costituire una rete nazionale.

Siamo in una fase di valutazione di altre regioni che vorremmo includere nel progetto, decideremo entro gennaio”. Il Network “coinvolge ragazzi e ragazze tra 16 e 25 anni, italiani e stranieri, che vivono o che hanno vissuto per un periodo fuori famiglia di origine, in comunità o in affido”.Il progetto vuole “creare innanzitutto una rete tra i giovani, che possono conoscersi e confrontarsi sulla loro storia fuori famiglia, acquisendo la consapevolezza del valore della loro esperienza sia per gli altri ragazzi fuori famiglia sia per gli operatori che si occupano di loro”.Il progetto sfocia anche “nell’auto-mutuo aiuto: è un’occasione bella di sostegno nel raccontarsi le proprie storie in un contesto tra pari”. Anche a partire dalle indicazioni dei ragazzi, aggiunge Mauri, “abbiamo promosso delle conferenze a livello regionale facendo incontrare i gruppi regionali dei ragazzi con i decisori politici, gli assistenti sociali, gli psicologi e la cittadinanza”. A luglio 2017 è stata, inoltre, organizzata a Roma la prima conferenza nazionale del Care Leavers Network con l’obiettivo di intercettare interlocutori che hanno un ruolo su queste tematiche a livello nazionale.“L’auspicio – sottolinea la coordinatrice – è che il progetto possa diventare stabile nei territori in modo che i ragazzi possano portare un contributo rispetto al miglioramento del sistema di accoglienza”.

Nel percorso sono stati coinvolti oltre cento ragazzi in tutta Italia.“Nelle conferenze organizzate finora nelle sei Regioni coinvolte nel progetto – racconta Mauri – abbiamo trovato delle istituzioni molto interessate ad ascoltare i ragazzi e a confrontarsi con loro. Ora stiamo lavorando a un protocollo con l’Ordine nazionale degli assistenti sociali e anche valutando, con le persone coinvolte nella conferenza nazionale di luglio scorso,

la possibilità di creare delle opportunità per i ragazzi nella fascia critica di età tra i 18 e i 21 anni.

Questo è un tema di competenza anche delle regioni. Ci sono delle delibere regionali che prevedono dei percorsi di accompagnamento successivamente ai 18 anni, ma spesso non ci sono i fondi destinati ad hoc, per cui i ragazzi non riescono ad avere un reale sostegno. Su questo tema c’è una disponibilità reale a trovare soluzioni”. Partner del progetto, oltre all’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, è l’Università di Padova, in particolare nella persona di Valerio Belotti, “che – spiega la coordinatrice del progetto – ci ha aiutato a creare il contesto scientifico a supporto delle azioni che sono state fatte. Abbiamo coinvolto i ragazzi anche nella costruzione di un’indagine campionaria che ci ha permesso di intercettare il loro punto di vista sui temi più importanti. Nei prossimi mesi vorremmo raccogliere altri dati per fotografare quantitativamente e non solo qualitativamente come stanno oggi i ragazzi fuori famiglia in Italia”.

Prolungare l’accompagnamento. “Molte volte ci sentiamo esclusi dalle decisioni che riguardano la nostra vita. Il progetto di Care Leavers per me e anche per gli altri ragazzi è importante proprio perché permette di far valere anche la nostra voce, come evidenzia il nostro hastag #perfarciascoltare. È anche importante per gli educatori e per la gente che lavora per noi perché è più facile aiutarci se possiamo offrire il nostro punto di vista, in modo tale che anche le decisioni che prendono sono comprese e condivise da noi”. A parlare è Ahsan Shabbir, 22 anni, originario del Pakistan, dove vivono i genitori e 4 fratelli. Il giovane attualmente vive a Modena in un appartamento con alcuni amici e lavora in una ditta che realizza pavimenti. Quando è arrivato in Italia dalla Grecia, essendo minorenne, è stato accolto per un anno e due mesi nella comunità di accoglienza per minori Don Orione a Formigine, in provincia di Modena. “È fondamentale – prosegue Ahsan – un prolungamento del percorso dopo i 18 anni, perché ci sentiamo abbandonati in strada, a volte senza un piano in mano. Questo può portarci a distruggerci e non avere più fiducia negli adulti.

Vorremmo un prolungamento dell’accompagnamento nel percorso verso l’autonomia”.

Farsi ascoltare. “Il progetto di Care Leavers Network è importante perché fa ascoltare la nostra voce, mettendoci in relazione con le istituzioni. La nostra opinione è ascoltata su punti di forza e criticità”, concorda Davide Pirroni, 27 anni, vissuto in casa famiglia dai 4 fino ai 19 anni, tranne per un periodo di 4 in cui è tornato nella sua famiglia di origine. Oggi è laureato in infermieristica e lavora a Verona al Don Calabria. “Una volta uscito dalla casa famiglia – ammette -, mi sono trovato ad affrontare situazioni che non sapevo gestire da solo, come cercare casa o un lavoro”. A tutti i soggetti coinvolti, garanti, giudici, tutori, assistenti sociali, educatori,

“chiediamo ascolto e più partecipazione. Ai media chiediamo di raccontare le nostre esperienze con più sensibilità e meno stereotipi.

Si pensa che un ragazzo in casa famiglia sia disagiato. A volte uscire dalla famiglia di origine può essere un trauma, altre volte può essere la soluzione migliore e per questo viene presa positivamente dal ragazzo. Convertiamo in aspetto positivo le nostre storie anche per gli altri”.