Carcere: decidere presto

Il cappellano di Rebibbia sulla sentenza della Corte europea di Strasburgo

«Violazione di diritti umani, tortura e trattamento disumano o degradante»: con queste motivazioni la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato ieri l’Italia per il trattamento inumano e degradante nei confronti di sette persone detenute nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza. La Corte accusa l’Italia di violare i diritti dei reclusi tenendoli in celle in cui hanno a disposizione meno di tre metri quadrati a testa. Il nostro Paese deve pagare ai sette detenuti un totale di 100mila euro per danni morali ed è chiaramente invitato a porre rimedio subito al sovraffollamento carcerario. Le carceri italiane sono sovraffollate e il sistema carcerario nazionale è allo sbando, con suicidi e continue violazioni dei diritti dei reclusi: 206 istituti penitenziari per adulti e una capienza di 45.817 posti. Che però ospitano oltre 21mila persone in più, circa 15mila delle quali in attesa di primo giudizio. Inoltre, in prigione, vivono oltre 50 detenute madri con più di 50 bambini sotto i 3 anni. Per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la sentenza della Corte europea è «un nuovo grave richiamo per l’Italia ed è una mortificante conferma dell’incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena». Il Sir ha intervistato don Sandro Spriano, cappellano dell’istituto penitenziario di Rebibbia, a Roma.

Cosa pensa della sentenza della Corte di Strasburgo?

Sono contento, è una conferma simbolica di quanto denunciamo da anni. Ma ancora una volta, e non sarà l’ultima, è mortificante. Ricordiamo che già c’era stata un’altra condanna della Corte di Strasburgo nel 2009. Il problema è che queste sentenze lasciano il tempo che trovano nell’opinione pubblica: sono pochi i cittadini consapevoli dei problemi delle persone detenute. Non so quanti siano davvero favorevoli o quanti pensino invece che il carcere debba punire al massimo, come sta avvenendo. È importante che la sentenza abbia suscitato una maggiore attenzione e una riflessione ulteriore. Ma è ancora più importante che chi può decidere, decida. Ma questo non sta avvenendo.

C’è stata una reazione tra i detenuti di Rebibbia?

Non c’è stata una grande reazione. Ci sono 500 ricorsi in atto in Italia, alcuni anche a Rebibbia. Ma devono essere legati a situazioni disumane al massimo.

Rispetto alla sentenza del 2009 pare che le condizioni delle carceri siano peggiorate…

La sentenza riguarda casi estremi ma queste situazioni sono oramai diffuse in tutta Italia. Il problema è che i detenuti italiani sono abbandonati. Non hanno più i diritti che dovrebbero avere dei cittadini che scontano una pena, prima di tutto il diritto alla dignità. Di questo non si parla. Non interessa che un detenuto non possa più parlare con la propria famiglia o che non abbia indumenti da indossare. Siamo a questo livello. I miei appelli oggi sono molto più forti e sono rivolti ai cristiani, ancora parecchio disinteressati rispetto a questi temi.

Però negli ultimi tempi sono aumentate le prese di posizione anche in ambito ecclesiale. Non le pare?

Sicuramente c’è maggiore attenzione. Ogni domenica invito alcune comunità parrocchiali a Rebibbia a celebrare la messa con i detenuti. Questo aiuta a capire qual è il tipo di giustizia che dovremmo attuare secondo il Vangelo. Certo la Chiesa fa molto, perché il volontariato all’interno delle carceri è soprattutto ecclesiale ed è determinante per creare delle condizioni di vita un pochino più umane. Se non ci fosse il volontariato credo che ci sarebbero delle rivolte.

La sentenza di Strasburgo arriva in periodo pre-elettorale. Questo può spingere le forze politiche a interessarsi del problema?

Me lo auguro. Se ne parla più di prima, c’è stato anche un input forte da parte del presidente della Repubblica. Purtroppo, anche fino all’ultimo momento si poteva approvare il ddl del ministro della Giustizia sulle misure alternative – che avrebbe forse fatto entrare meno persone in carcere – non è stato fatto. Non credo ci sia in questo momento la giusta attenzione politica: mi piacerebbe sentire parlare di carcere da qualche grande politico presente nelle liste elettorali, ma finora non è successo.

Quali sono, oggi, le principali emergenze a Rebibbia?

L’ozio in carcere è la prima emergenza. Le persone vivono sedute o coricate sul letto, in una cella, 24 ore al giorno. Non c’è più lavoro, le iniziative riguardano sempre pochi perché è difficile muovere le masse, essendo pochi i poliziotti penitenziari impegnati all’interno degli istituti. Le emergenze sono quelle quotidiane: dare un senso a vite inutili in una cella. Purtroppo non ci si riesce. Rimangono vite inutili in una cella: in questo modo le persone producono nell’animo un atteggiamento opposto a ciò a cui dovrebbe servire il carcere, cioè ripercorrere il proprio passato e capire dove si è sbagliato e decidere di non sbagliare più. Invece si pensa solo a sopravvivere.