Chiesa di Rieti

Cantalice festeggia il suo patrono san Felice cappuccino

Si è svolta a Cantalice, come ogni 18 maggio, la festa che celebra il cappuccino san Felice, patrono del paese e compatrono della diocesi di Rieti

«Auguri per oggi, un giorno importante sia per il vostro paese che per la diocesi di Rieti, di cui san Felice è compatrono del nostro camminare insieme»: ha esordito così, in un giorno cupo solo per il maltempo, il vescovo Vito Piccinonna alla sua prima festa di San Felice da Cantalice. Paese addobbato per le grandi occasioni come di consueto ogni 18 maggio, data che segna in calendario il giorno del 1587 in cui il santo cappuccino Felice Porri morì a Roma.
Il vescovo è stato accolto dalla confraternita in saio marronee dal parroco don Gottardo Patacchiola a ridosso dell’ingresso del paese, per poi giungere insieme fino alla chiesa che si affaccia sulla vallata. Campane a festa e banda musicale, e sacchetti da portare a casa per mangiare in famiglia il pane di fra Felice: «Ho pensato alla raccolta del pane che faceva per Roma, oggi lui ci chiede di raccogliere il pane della carità, quello che sazia la nostra vera fame di senso», ha detto don Vito.
Nella chiesa affollata e sul sagrato sotto gli ombrelli, i tantissimi fedeli giunti nel paese anche da Roma e da altre parti d’Italia, come consueto ritrovo per chi abita fuori ma vive questo giorno come simbolo del rivedersi e ritrovarsi tra parenti, amici, compagni di scuola.
«Di Felice ricordiamo di portare con noi la docilità del cuore umano che tutto trasforma e rinvigorisce: i santi abbelliscono il giardino del Signore e dell’umanità», dice monsignor Piccinonna nell’omelia, citando sant’Agostino e invitando i fedeli a contemplare le meraviglie di Dio compiute nella vita da san Felice. «Domandiamoci come vuole essere servito e amato, oggi è proprio san Felice a chiederci a che punto è la nostra vita e il nostro cammino di santità. I santi ci ricordano e testimoniano la parola del Signore per gli altri, se non facciamo questa opera di accoglienza la nostra vita rimarrà scialba e indifferente. Gesù ci vuole salvare dall’ansia, dall’ozio della vita che si assale, soprattutto quando viviamo un momento di sofferenza».
Il vescovo invita ad imparare da giornate come questa, come dalle vite dei santi che celebriamo: «La saggezza di san Felice con san Francesco ci siano da esempio: noi, realmente, su cosa posiamo oggi lo sguardo? Gesù ci dice non datevi pensiero per la vostra vita, come invito a guardare tutto dalla prospettiva giusta, con la saggezza del pensare e la saggezza del cercare: san Felice ha meditato innanzitutto sulla vita del suo maestro Francesco, ha cercato il regno di Dio, si è domandato cosa avrebbe fatto Lui al suo posto».
«La vita segna e insegna e sono soprattutto le cose che ci hanno segnato a darci una visuale diversa. Ricordiamolo, altrimenti gli insegnamenti della vita non vengono a galla», conclude don Vito citanto un passo dell’esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii gaudium: «Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità: ho pensato proprio a san Felice rileggendo questa frase. Affidiamoci a lui per recuperare questo ritmo, quello della fratellanza, non dell’individualità».
Dopo la Santa Messa, la benedizione al paese con la statua che resta sulla soglia del portone e la pioggia che inizia a farsi battente e non consente lo svolgimento della processione. Dispiace, ma questa giornata qui è anche e soprattutto altro: l’effigie di san Felice non si porta in trionfo solo il 18 maggio, ma in ciascuna casa e in ciascun giorno. Con il senso della fede e della carità espresse nell’aiuto reciproco ma anche in un atteggiamento ironico e gioioso che fa della semplicità di Felice e di ciascun cantaliciano l’espressione autentica del farsi comunità.