Brexit: cosa c’è da sapere. Il Regno Unito alle urne, poi il divorzio dall’Ue

Dopo il voto legislativo dell’8 giugno, Londra e Bruxelles avvieranno i negoziati per il recesso dell’isola dalla “casa comune”, cui era approdata nel 1973. Le ragioni che hanno portato al referendum britannico del 23 giugno scorso, i temi delle trattative e gli obiettivi che si prefigge l’Unione europea. A partire dalla tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini europei

La parola d’ordine a Bruxelles è “recesso ordinato”. Lo ripetono da mesi a proposito del Brexit (termine che unisce British più exit) i vertici delle istituzioni dell’Unione europea e i leader politici dei 27 Stati membri. Il ventottesimo, il Regno Unito, è già percepito come un “separato in casa”. Dopo le elezioni dell’8 giugno, convocate anticipatamente dalla premier Theresa May per avere un mandato popolare ampio in vista dei negoziati con l’Ue (giunte in un Paese insanguinato da una terribile serie di attentati), il governo britannico e l’Ue incroceranno le spade politiche e diplomatiche per definire i precisi contorni del “divorzio”. Una scelta che, secondo il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, “gli inglesi un giorno rimpiangeranno”.

Perché il Brexit?

La decisione di lasciare la “casa comune” – cui l’isola era approdata, dopo lunghe vicissitudini, nel 1973 – deriva da

una serie di spinte isolazioniste e nazionaliste che hanno continuato ad attraversare in questi oltre 40 anni l’opinione pubblica britannica.

Infine il 23 giugno 2016 i sudditi della regina Elisabetta si sono espressi mediante referendum, decidendo, a strettissima misura, per il “leave” (51,9%) contro il “remain” (48,1%). Per l’uscita dall’Ue hanno votato in particolare i collegi elettorali dell’Inghilterra; per restare nell’Unione, invece, scozzesi e irlandesi del nord. L’allora premier conservatore David Cameron, che aveva convocato il voto sostenendo la scelta di rimanere nell’Unione, si dimette di lì a poco. Pesanti e negative le reazioni dei mercati e furiose le diatribe politiche interne, con Scozia e Irlanda del Nord decise a far valere i propri interessi legati all’integrazione comunitaria. La carica di premier viene dunque assegnata a Theresa May, che subito promette di far rispettare la volontà degli elettori e di avviare i negoziati entro marzo 2017.

Quando il Brexit?

Il 29 marzo 2017 l’ambasciatore del Regno Unito presso l’Ue consegna al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk la lettera con la quale si invoca l’articolo 50 del Trattato Ue per recedere dall’Unione. È la prima volta in 60 anni di storia comunitaria (celebrati il 25 marzo precedente a Roma) che uno Stato intraprende questa scelta. Intervenendo alla Camera dei Comuni, la May afferma: “Abbiamo eseguito la volontà del popolo. Il Regno Unito lascia l’Unione europea. È un momento storico dal quale non si può tornare indietro”. E poco oltre: “Ora più che mai il mondo ha bisogno dei valori liberali e democratici dell’Europa che il Regno Unito condivide”. Quindi il messaggio della premier è “non lasciamo l’Europa, lasciamo l’Ue”. Esattamente un mese dopo, il 29 aprile, i 27 si riuniscono a Bruxelles in seduta straordinaria: il Consiglio europeo (riunione dei capi di Stato e di governo) prende atto della decisione britannica e definisce i punti fermi dei negoziati, che prenderanno avvio dopo le elezioni politiche nel Regno Unito, nel frattempo fissate per l’8 giugno.

I tempi sono chiari: due anni al massimo per fissare tutti gli elementi dell’uscita di Londra.

Ma più probabilmente la partita sarà chiusa entro la primavera 2019, prima delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo che si terranno a maggio di quell’anno.

Come il Brexit?

Lo stesso vertice Ue del 29 aprile ha approvato un ampio documento (6 capitoli, 28 punti) che fissa i contorni e gli obiettivi dei negoziati. “L’integrazione europea ha portato pace e prosperità all’Europa – vi si legge – e ha reso possibile una cooperazione senza precedenti, per livello e portata, su questioni di comune interesse in un mondo in rapida evoluzione”. “Pertanto, l’obiettivo generale dell’Unione in questi negoziati” per il Brexit “sarà quello di salvaguardare i suoi interessi e quelli dei suoi cittadini, delle sue imprese e dei suoi Stati membri”. Il documento aggiunge: “La decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione crea notevoli incertezze che rischiano di provocare turbolenze in particolare nel Regno Unito ma anche, in misura minore, in altri Stati membri”.

Quattro sono i principali nodi da affrontare:

i diritti dei rispettivi cittadini (3 milioni quelli Ue che vivono nel Regno Unito, quasi un milione gli inglesi che abitano e lavorano nel continente); la futura presenza o meno del Regno Unito nel mercato unico (per farne parte Londra dovrà accettarne in toto le regole, ossia le cosiddette “quattro libertà”); gli impegni finanziari (il Regno Unito dovrebbe versare al bilancio comunitario una cifra non ancora definita, compresa tra 60 e 100 miliardi di euro, per impegni già assunti fino al 2020); non da ultima, occorre un soluzione pacifica delle relazioni tra le due Irlanda, del Nord e del Sud, senza ripristinare confini, dogane e laceranti divisioni.