Bonus bebè, si parte. Occasione da cogliere per le giovani famiglie

Si tratta di un’erogazione pubblica di 80 euro al mese fino al compimento del terzo anno di età del bambino o bambina, nati o adottati tra il 1º gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017. La condizione essenziale per ottenerlo è il limite di reddito (calcolato con apposito Isee) a 25mila euro annui. Nel caso in cui i giovani sposi non superino un Isee di 7mila euro annui, il “bonus” raddoppia a 160 euro mensili.

Tra le novità presenti nella “Legge di stabilità” per l’anno in corso c’è l’avvio, con la metà di maggio, delle procedure per ottenere il cosiddetto “bonus bebè”. Il testo della legge 23 dicembre 2014, n. 190, articolo 1 comma 125, spiega chiaramente che questo provvedimento è stato deciso “al fine d’incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il 1º gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 è riconosciuto un assegno d’importo pari a 960 euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione”. Il linguaggio burocratico è un po’ “freddo”, ma – tradotto in termini popolari – si tratta di un’erogazione pubblica di 80 euro al mese fino al compimento del terzo anno di età del bambino o bambina. Niente file presso uffici pubblici vari per fare la domanda. La si può sottoporre via internet, andando sul sito dell’Inps, ai “servizi per il cittadino” e l’utilizzo di un pin; oppure chiamando un contact-center al numero verde 803.164, oppure ancora al numero 06-164164. È possibile anche utilizzare i patronati che offrono, in genere, un’assistenza diretta specie alle persone più in difficoltà o straniere. Gli interessati che nell’anno in corso hanno avuto un figlio o lo hanno adottato o lo hanno in affidamento preadottivo hanno tempo 90 giorni dalla nascita per fare domanda. Ma, chiaramente, essendo partita in questi giorni la procedura, il termine per i nati nei primi mesi del 2015 è prorogato al 27 luglio.

Il “bonus” ora c’è, i figli un po’ meno. Qualche ulteriore informazione sul “bonus bebè” riguarda la platea dei beneficiari. Il sostegno non è limitato ai soli italiani ma esteso ai cittadini comunitari o extracomunitari, purché con permesso di soggiorno di lungo periodo. La condizione essenziale per ottenerlo del resto è il limite di reddito (calcolato con apposito Isee) a 25mila euro annui. Nel caso in cui i giovani sposi non superino un Isee di 7mila euro annui, il “bonus” raddoppia a 160 euro mensili. Si può immaginare che il “bonus” risulterà certamente molto gradito alle giovani coppie con figli piccoli nati quest’anno. Ma la domanda è: gli italiani fanno ancora figli? Risposta: sì, ma sempre di meno. Gli ultimi dati Istat disponibili (febbraio 2015) parlano di un ulteriore calo delle nascite nel 2014 al livello minimo dall’Unità d’Italia. Lo scorso anno sono nati 5mila bambini in meno rispetto al 2014, con un saldo di 509mila e, per la prima volta, tale calo ha coinvolto anche le mamme straniere. In Italia siamo 60 milioni e 808mila residenti, tra cui 5 milioni e 73mila stranieri. Gli italiani “veri” sono scesi di 125mila unità a 55,7 milioni. Rispetto alle 509mila nascite ci sono state 597mila morti. Il nostro tasso d’incremento naturale è dell’1,4 per mille con un numero medio di figli per donna di 1,39. La media nell’Unione europea è di 1,58 e tra le donne straniere tocca 1,91 (cioè quasi due figli per donna). Quindi registriamo una natalità molto bassa, tra le più basse al mondo. Le regioni più fertili sono Trentino (9,9) e Campania (8,9), le più compresse Liguria (6,9) e Sardegna (7,1).

Solo il 75% da noi diventano mamme.
Ci si chiede perché le donne italiane non hanno più figli o ne hanno sempre di meno. Le risposte sono molteplici. Partiamo dal dato che solo il 75% da noi diventano mamme, mentre in Francia hanno figli il 90% delle donne e negli Usa l’86%. Si dice che in Italia gli studi durano troppo a lungo, che non è facile trovare lavoro, che se c’è non è stabile, che non ci sono asili nido a sufficienza. Sta di fatto che le donne italiane che si avventurano nella maternità hanno il primo figlio mediamente a 31,4 anni. In Africa, in molti Paesi, l’età media delle neo-mamme è tra i 13 e i 17 anni! Qualche sociologo parla per l’Italia di “trappola della sicurezza”: cioè si dice che non si può avere un figlio perché non si ha un lavoro vero e una casa di proprietà, perché nei primi anni di vita di coppia c’è il mutuo da pagare e il guadagno è spesso discontinuo. L’instabilità socio-economica sarebbe una tra le ragioni principali. C’è chi fa notare che l’atteggiamento degli uomini è poco “collaborativo” a differenza di altri paesi, specie del Nord Europa, dove i maschi svolgono molte incombenze domestiche, prendono permessi sul lavoro e assistono i figli in alternanza con le mogli. Sta di fatto che da noi solo la metà circa delle donne con figli lavora fuori casa, mentre in Francia – ad esempio – lo fanno il 74% e nei Paesi nordici anche oltre l’80%..

Basterebbe 1 punto di Pil! S’impone quindi qualche riflessione sul “bonus bebè” e sul suo ruolo. SecondoFrancesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari, “per la prima volta si mette un intervento diretto e concreto a sostegno della primissima infanzia e due giovani sposi possono guardare con fiducia alla scelta coraggiosa di avere un figlio”. “L’aver fatto questo intervento sui bambini appena nati – prosegue – è un segnale in controtendenza, dopo anni di dimenticanza per il necessario equilibrio generazionale, che nel nostro Paese è pesantissimo. Basta guardare all’entità di questo intervento, che è di circa 2 miliardi l’anno, rispetto a quello sulle pensioni che è invece di decine di miliardi”. Belletti ricorda che “da noi le spese per l’infanzia sono l’1,4% del Pil, contro la media Ue del 2,2% e ci sono Paesi che arrivano al 3,5%. Basterebbe spostare un punto di Pil, 17 miliardi, e molte famiglie, specie giovani, non si spaventerebbero ad avere un figlio!”.