Aziende agricole: la Rete del lavoro di qualità non decolla ancora, ma…

Sono 669 le aziende agricole che all’inizio di dicembre hanno chiesto la certificazione etica all’Inps; appena 207 l’hanno ottenuta, ma, secondo Romano Magrini, responsabile lavoro della Coldiretti nazionale, occorre dare tempo per questo nuovo strumento, che, in prospettiva potrà essere utile nel contrasto del lavoro nero

L’estate scorsa è stata lanciata l’idea di un sistema di certificazione per le aziende agricole che attestasse l’essere in regola con le leggi e i contratti di lavoro. Una garanzia di trovarsi di fronte a un’impresa non sospettabile di utilizzare manodopera in nero o clandestina. Agli inizi di dicembre solo 669 aziende hanno chiesto la certificazione e appena 207 l’hanno ottenuta. “Per la prima volta in Italia si istituisce un sistema pubblico di certificazione etica del lavoro. Il certificato di qualità attesterà il percorso delle verifiche effettuate, individuando e valorizzando le aziende virtuose”, ha spiegato ad agosto il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina; dopodiché l’Inps ha annunciato la nascita della “Rete del lavoro agricolo di qualità”.  A Romano Magrini, responsabile lavoro della Coldiretti, abbiamo chiesto un parere.

Dare tempo. Dal primo settembre è possibile presentare le istanze di adesione alla Rete, accedendo al sito dell’Inps. Nel modulo on line bisogna dichiarare le generalità del titolare dell’impresa e attestare di non aver riportato condanne penali in materia di lavoro, legislazione sociale e di imposte; di non aver subito sanzioni amministrative negli ultimi tre anni e di essere in regola con i contributi Inps e Inail. Verificato il possesso dei requisiti, l’azienda entra nella Rete e riceve il certificato che ne attesta la qualità.

Il numero non altissimo delle aziende che hanno fatto richiesta di adesione, per Magrini, “non è un dato negativo, ma indice di una cosa nuova che inizia”.

“Effettivamente – prosegue – siamo partiti a settembre: è stato necessario del tempo per rendere l’iniziativa concretamente operativa, per capire quali sono le regole, per affinare alcuni dispositivi. Per tutti questi motivi la partenza è stata un po’ a rilento”. D’altra parte, oggi il ‘bollino etico’ non esiste, nel senso che non è riconosciuto da nessuna parte che si ottiene il bollino se si aderisce alla Rete del lavoro agricolo di qualità né che si hanno tutte le carte in regola. Secondo l’esperto, “nel tempo ci saranno delle evoluzioni. Da gennaio in poi potremo ragionare in modo diverso su questa Rete, a cui si affiancheranno altre istituzioni”. Le imprese agricole che assumono manodopera e che potrebbero essere interessate alla Rete  “sono 200mila”. “Non meraviglia – chiarisce Magrini – che le aziende siano al momento alla finestra per capire se realmente nascerà un beneficio da questa iscrizione oppure no.

Al momento, infatti, non è prevista una visibilità o pubblicità in virtù dell’adesione alla Rete. Da nessuna parte è codificato che chi aderisce ha un più o un meno rispetto alle altre imprese, ad esempio un vantaggio in un bando pubblico”. La procedura per aderire è molto semplice: “Basta che l’impresa faccia un’autodichiarazione; poi l’Inps farà tutte le verifiche del caso sulla veridicità delle dichiarazioni”.

Strumento valido. Il responsabile lavoro della Coldiretti nazionale precisa:

“Noi ritieniamo che la Rete sia uno strumento molto valido, ma che deve avere il tempo di crescere”.

Nella prospettiva futura ci potrebbero essere novità: “Si è ragionato all’interno della cabina di regia su quali possano essere i reali vantaggi per l’impresa rendendo più appetibile questo tipo di percorso. Tutto ciò, inoltre, dovrà trasformarsi in una norma, che potrebbe essere il disegno di legge sul capolarato che è stato approvato dal Consiglio dei ministri a novembre e che vedrà iniziare il suo iter subito dopo la Legge di stabilità, secondo quanto ci hanno riferito fonti governative”. Qual è, allora, l’auspicio? “Sicuramente promuovere un circolo virtuoso che spinga tutte le aziende ad aderire alla Rete, creando delle opportunità per le imprese che si iscrivono”. In questo senso, “il primo risultato sarà essere in regola ed essere trasparenti”. Per Magrini, è difficile stabilire con certezza i dati sulla diffusione del lavoro nero: “Se potessimo dare numeri precisi, significherebbe anche sapere dove andare a colpire. Chi si lancia sui dati confonde un po’ le acque, mentre dobbiamo veramente contrastare la piaga deplorevole del lavoro nero, che favorisce, tra l’altro, anche la concorrenza sleale”.