L’anomalia di un Dio che diventa uomo

Mons Accrocca, arcivescovo di Benevento e autore di significative pubblicazioni su san Francesco, ha caratterizzato con la sua relazione attorno a «Il Natale di Greccio» l’incontro del vescovo con i sacerdoti, i diaconi e i religiosi svolto giovedì 16 ottobre presso l’oasi situata poco sopra il santuario francescano

L’incontro con Chiara Frugoni non è stato l’unico, la scorsa settimana, a gettare luce sulla vicenda del presepe di Greccio. I sacerdoti, i diaconi e i religiosi della nostra diocesi hanno infatti potuto confrontarsi sull’argomento con mons Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento, ma anche docente di Storia della Chiesa medievale presso la Pontificia Università Gregoriana e docente all’Istituto Teologico di Assisi.

Relatore in molti convegni in Italia e all’Estero, specialmente sul francescanesimo, mons Accrocca ha spiegato come in effetti quello di san Francesco non sia stato propriamente il primo presepe della storia. «L’ho detto tante volte e non posso smentirmi», ha detto il vescovo chiarendo che le rappresentazioni della natività erano già nell’uso. «Ma quello che Francesco fece quella notte del 1223 fu ben più impegnativo che fare il presepe. Anche perché come presepe sarebbe stato piuttosto anormale: mancavano le statue, non c’erano i personaggi principali, la Madonna, san Giuseppe e il Bambino. Quello che sostanzialmente Francesco volle fare quella sera fu visualizzare il Vangelo, “con gli occhi del corpo”».

Mons Accrocca ha fondato la sua tesi tornando ai testi, in particolare analizzando in profondità la più antica tra le diverse fonti, quella che conosciamo come Vita prima, scritta da Tommaso di Celano tra il 1228 e il 1229. «Il racconto è molto bello e interessante», anche se per l’epoca «alcuni aspetti forse poi risulteranno imbarazzanti».

Ma dal racconto di Tommaso si comprende chiaramente che Francesco era desideroso di osservare sempre il Vangelo, di seguire l’insegnamento del Signore Gesù. Ed è in questa direzione che tre anni prima della sua morte concepisce il progetto di «far percepire alla gente il mistero dell’incarnazione: l’anomalia di un Dio che diventa uomo nella mancanza delle cose necessarie, nella assoluta precarietà».

Un qualcosa che non manca di risuonare anche con la nostra epoca e che riempie di ulteriore senso l’indagine sul Francesco di Rieti.