Un anno con Francesco

Nel primo anniversario dell’elezione di papa Bergoglio, Chiarinelli riflette sul pontificato a partire dal «gesto inatteso» di Benedetto XVI che ha aperto nuove prospettive.

Un anno fa, nell’esultanza generale per l’arrivo del nuovo Pontefice, colpì molto il suo «Da Francesco a Francesco»: una riflessione che legava il «Buonasera» con cui aveva esordito il neoeletto Papa al «Buongiorno buona gente»di san Francesco e a tutta l’esperienza della Valle Santa reatina.

Del dono di papa Bergoglio e del cammino della Chiesa con il passaggio di consegne tra Benedetto e Francesco, il vescovo emerito di Viterbo, Lorenzo Chiarinelli, ha avuto modo di parlare e scrivere ancora, in questi ultimi tempi.

Emerito anche lui, come è per la Chiesa di Roma papa Benedetto, il presule non ha certo il problema di come passare il tempo. Nel suo appartamento al quartiere Regina Pacis, dove è tornato a vivere una volta rientrato a Rieti dopo aver svolto il servizio episcopale a Sora, Aversa e Viterbo, è il solito fermento di libri, riviste, fotocopie, tra una riunione a Roma alla Congregazione delle Cause dei santi di cui è membro e una conferenza, tra una lezione agli “alunni” dell’Università della terza età e un corso di esercizi da predicare in chissà quale parte d’Italia.

Qui in città lo invitano spesso a parlare. E stavolta Chiarinelli ha avuto modo di tornare a riflettere sulla Chiesa di Papa Francesco, tema di cui ha intrattenuto molti reatini intervenuti all’incontro organizzato dagli «Amici della biblioteca». Una riflessione sulla stagione apertasi un anno fa per la cristianità e per il mondo intero con l’elezione del primo Papa proveniente dal continente latinoamericano, ma che, ha voluto sottolineare il vescovo, ha come suo primo passo il «gesto inatteso» di Benedetto XVI.

Proprio dalle parole pronunciate da Ratzinger l’11 febbraio dinanzi ai cardinali prende le mosse la riflessione di Chiarinelli (il quale al tema ha dedicato un suo scritto che, stampato in alcune copie distribuite fra gli amici, è pronto ora ad arrivare nell’editoria nazionale pubblicato da Cittadella Editrice): la scelta di Benedetto di «salire sul monte» con il particolare ministero «nascosto» declinato in amare e pregare.

Un gesto, ha evidenziato il vescovo emerito di Viterbo, che apre delle porte significative: «Intanto l’invito a ripensare la forma del ministero petrino, cosa che già Giovanni Paolo II aveva lanciato nella Ut unum sint. Poi il recupero della soggettività della Chiesa nella sua dimensione conciliare, per cui il papato è un servizio a un corpo ben più ampio. E l’idea della fede come cammino», senza mai considerarsi “arrivati” e pronti continuamente a imboccare sentieri nuovi.

In questa dinamica, papa Francesco si colloca «con il suo stile, offrendoci spunti significativi», a partire dalla scelta del nome, meditando, invita il presule, su quegli elementi che lo stesso Bergoglio volle spiegare nell’incontro con i giornalisti: la scelta per i poveri, la pace, l’amore per il creato, temi particolarmente cari alla vocazione francescana della nostra terra reatina. E poi la particolare scelta di metodo su cui Chiarinelli richiama l’attenzione: lo stile bergogliano del mettere in primo piano «il vissuto, i segni, non grandi proclamazioni».

Un’eloquenza dei gesti e dei momenti quotidiani che costituiscono sempre più un singolare magistero che tanto colpisce oggi chi guarda con speranza al soglio di Pietro. In questa linea è il fondamento teologico di Francesco (e la parola “fondamento” è chiaramente ignaziana, tiene a sottolineare Chiarinelli rimarcando la provenienza di Bergoglio dal carisma gesuitico): l’insistenza sul Dio che è misericordia. Un assunto che fonda la scelta ecclesiologica come quella pastorale: «La visione della Chiesa come “ospedale da campo” e l’idea di una comunità che sia missionaria», con quell’insistenza su termini come “uscita”, “frontiere”, “periferie” a cui questo primo anno di pontificato ci ha abituato.

Si tratta di significative provocazioni per la vita ecclesiale, sintetizzate benissimo dal Papa in quella Evangelii gaudium in cui, a detta di Chiarinelli, «c’è molto del documento della conferenza dell’episcopato latinoamericano di Aparecida». Provocazioni che, conclude il vescovo emerito, «spingono a mettere in crisi molti assetti consolidati nella vita pastorale».