Amsterdam si racconta con le sue 180 nazionalità. “È la nostra storia”. Ma per le elezioni spira vento xenofobo

La capitale dei Paesi Bassi è una delle città più cosmopolite del mondo. Con il progetto “180amsterdammers” si racconta una realtà di integrazione (non senza ostacoli) “diversa – spiegano i promotori – dal resto d’Olanda e d’Europa”. Dea Broersen (diocesi) afferma: “c’è grande tolleranza, anche religiosa”. Il voto del 15 marzo rischia però di mettere in luce un altro volto del Paese

“180amsterdammers” è una campagna di marketing della città di Amsterdam che ha scelto di farsi pubblicità puntando sulla molteplicità delle nazionalità che la abitano. “È una storia che è cominciata nel XVII secolo”, racconta al Sir Nico Mulder, ideatore e responsabile dell’iniziativa finanziata dalla municipalità, quando “Amsterdam era una delle grandi città del mondo e accoglieva persone da ogni parte perché qui trovavano la possibilità di vivere, commerciare, guadagnare e si sentivano liberi di pensare e credere in ciò che volevano”. I confini aperti sono sempre stati una necessità per i Paesi Bassi: “Se non avessimo avuto questa mentalità non avremmo potuto avere la prosperità di cui godiamo oggi”. Nei secoli questo tratto della città si è conservato. “Abbiamo scoperto tre anni fa che qui vivono persone di 180 diverse nazionalità e abbiamo deciso di valorizzare questo tratto e far crescere l’orgoglio dei cittadini per un aspetto così speciale”. 180 persone, una per nazionalità, hanno accettato di essere fotografate e hanno raccontato le loro storie d’integrazione. Mulder assicura che non c’è stata selezione. In effetti le storie sono molto diverse tra di loro. Tutte ben riuscite. A parlare sono Jampara, dal Burundi che fa il musicista, Fathia, dentista egiziana, Sarah, assistente sociale del Galles, Monan dalla Costa d’Avorio che si occupa degli anziani, Khadeeja dalle Maldive che fa la commessa… “Abbiamo solo cercato un equilibrio tra giovani e anziani, uomini e donne, classi sociali, reddito”.

Nuovi “ambasciatori”. C’è stato qualche problema “rispetto a nazionalità non riconosciute, come ad esempio il Tibet o la Palestina. Ma alla fine abbiamo deciso di aprire il progetto a tutti, lasciando libero ciascuno di presentarsi per come si sente”.C’è chi non ha voluto raccontare la propria storia e farsi fotografare, solo per ritrosia, per “non farsi  pubblicità”; “una signora del Butan aveva accettato, ma poi il marito non le ha permesso di partecipare”.Nessuno è stato pagato; solo un ringraziamento fatto di biglietti d’ingresso a musei, mostre, un viaggio gratis sui canali, un libro. Tutte le storie e i volti infatti sono state raccolte in un volume; sono anche on-line in olandese e in inglese (www.180amsterdammers.nl); è in corso una mostra, oltre alla campagna pubblicitaria. Le persone sono diventate “ambasciatori della città”: sono invitate a eventi pubblici e incontri. Il progetto proseguirà per “continuare a mostrare questa ricchezza”: uscirà un altro libro, con 180 ricette da tutto il mondo; gli ambasciatori parteciperanno ad altri eventi previsti nel 2017. Lisbona, Atene e New York si sono anche dimostrate interessate a “copiare” il progetto.

Elezioni e xenofobi. Amsterdam è l’eden dell’integrazione? Mulder non nasconde che ci siano problemi. C’è ad esempio una grande comunità marocchina e turca arrivata negli anni ’60 per lavori faticosi (e a basso reddito) con la prospettiva di un soggiorno temporaneo: “sono però rimasti senza veramente integrarsi, imparare la lingua e senza che il governo capisse la necessità di sostenere il loro inserimento nella società. I loro figli sono cresciuti qui, ma con orizzonti e valori diversi”, racconta Mulder, che orgogliosamente insiste:

“L’integrazione però funziona bene qui, soprattutto se paragonata al resto dei Paesi Bassi o d’Europa”.

Come la mettiamo con il connazionale Geert Wilders, fondatore del Partito per la Libertà, populista e xenofobo, più che mai agguerrito nell’attuale campagna elettorale che porterà gli olandesi al voto il 15 marzo? “Il movimento populista non è solo una vicenda olandese, ma di tutto il mondo oggi”, si giustifica. Previsioni per le elezioni del 15 marzo? “Uno come Wilders non ha la possibilità di vincere nella nostra città. Certo qualcuno lo voterà; e temo che raccoglierà molti voti, ma non qui. Noi qui sperimentiamo che si può vivere insieme con tutte queste culture, che si può trarre beneficio gli uni dagli altri, che si può avere un buddista, un musulmano, un cristiano, un indù che vivono insieme: lo vediamo accadere tutti i giorni. Abbiamo ristoranti da tutto il mondo; abbiamo luoghi di preghiera di tutte le fedi possibili”. Qual è il segreto, allora? “Penso che oggi le persone si dividano in due categorie: persone che sono aperte al cambiamento e persone che vogliono lasciare tutto com’è. Gli abitanti di Amsterdam sono abituati al cambiamento e all’apertura”.

L’esperienza dei cattolici. Conferma della bontà del progetto 180amsterdammers e della peculiarità di Amsterdam arriva anche da Dea Broersen, coordinatrice di tre decanati della diocesi. “Amsterdam è una bella città ed è possibile per molte culture, religioni e persone vivere insieme in pace. Amsterdam ha un’energia speciale. Non è solo una questione religiosa. C’è una grande tolleranza per le persone che sono diverse”. Precisa però:“Se parliamo d’integrazione, come dappertutto, ci sono livelli differenti. Non possiamo dire che sia completamente un successo. E credo che ci siano sostenitori di Wilders anche qui. Non è un giardino dove tutti sono felici e integrati”.Da Broersen un piccolo suggerimento per migliorare il progetto percepito come un po’ “chiuso in se stesso”, e un po’ parziale rispetto alla complessità della realtà: servirebbe la prospettiva su come “questo successo possa trasferirsi a persone che non sono così fortunate”, a quegli immigrati poveri, socialmente esclusi, ai margini, risucchiati nella criminalità.