Chiesa di Rieti

Amatrice, nove anni dopo il sisma la veglia del silenzio

Nove anni dopo il sisma, la comunità di Amatrice si è nuovamente ritrovata nel silenzio e nella preghiera: dal Vangelo la lezione della compassione e del perdono, nel cammino notturno il segno di una memoria che resiste

Forse una chiave di lettura è nel tempo. Sono passati nove anni dal sisma del 2016: un arco che fa quasi cifra tonda e che non può essere trascorso invano. Il tempo cambia tutto. Trasforma anche il dolore e la speranza. Non perché vengano meno, ma perché prendono spessore, consolidano una fisionomia, guadagnano esattezza.

Anche questo ha suggerito la veglia di Amatrice nella notte tra il 23 e il 24 agosto. Il suo percorso, in tre tappe, si è ripetuto alla presenza del vescovo come ogni anno. La prima tappa è un momento di raduno. Come l’anno scorso, anche in questa fine di agosto il punto di convergenza è stato l’Auditorium della Laga. Ma più del luogo conta incontrarsi e lasciarsi accompagnare da un pensiero. Con il Giubileo in corso, la radice non poteva che essere lì, nella consapevolezza di essere accolti nella speranza di Dio. Per introdurre in questa dimensione, insieme ai canti, sono state scelte due pagine evangeliche: quella del Buon Samaritano e i momenti dell’ultima cena. E per condurre la comunità al cuore del testo si è fatto ricorso a due catechesi di papa Leone, ascoltate dalla sua viva voce.

La scena del Samaritano si svolge su una strada difficile, dove un uomo viene aggredito e lasciato mezzo morto. Il parallelo con il terremoto è fin troppo evidente. Ma dal Vangelo emerge una lezione: davanti al ferito passano un sacerdote e un levita che non si fermano, mentre un samaritano – appartenente a un popolo disprezzato – si prende cura di lui con gesti concreti: fascia le ferite, lo carica sulla cavalcatura, paga per il soggiorno in una locanda e promette di tornare. È un insegnamento semplice e radicale: la compassione nasce dall’umanità e si manifesta in opere di cura. La memoria della compassione che Gesù ha avuto per noi ci aiuta a fare un salto: diventare capaci di fermarci a nostra volta.

È un cambiamento di prospettiva tutt’altro che scontato. La mancanza di speranza, infatti, nasce spesso dal fissarsi in schemi rigidi. Il Vangelo, al contrario, mostra che c’è sempre un modo per continuare ad amare, anche quando tutto sembra compromesso. Così nell’ultima cena Gesù offre un boccone a chi sta per tradirlo, mostrando che il vero perdono non aspetta il pentimento ma si dona per primo, gratuitamente. Non è negazione del dolore o dimenticanza del male, ma la scelta che quel male non generi altro dolore. Vale nei rapporti tra persone e tra popoli, ma può illuminare anche il male cieco del terremoto.

A questa pacificazione si è rivolta la seconda tappa della veglia: l’attraversamento silenzioso di ciò che resta del paese, alla luce di piccole candele. Ognuno ha messo in fila i propri passi e i propri pensieri, ma è camminando insieme, coprendo le orme altrui, che il percorso acquista senso. Simbolica la sosta sotto la torre civica. È parso di udire un fischio sommesso: forse solo il ronzio elettrico dei fari, ma per un attimo sembrava un acufene, come un’eco dei crolli che ancora parlano dalle macerie. Un rumore presto dissolto dalla preghiera che ha rimesso in moto la processione, giunta al monumento ai caduti nel parco Don Giovanni Minozzi.

Qui i nomi delle vittime sono stati letti uno a uno, con lentezza. Poi il silenzio della notte ha riconquistato la scena, lasciando ognuno ai propri pensieri per cinque lunghi minuti. Alle 3.36 la campana ha rotto il silenzio con tanti rintocchi quante sono state le vite spezzate dal sisma. Un suono metallico che sembrava amplificare i sentimenti, mentre la stanchezza pesava sulle gambe. Ma è questo il senso: restare in piedi contro l’istinto avverso, resistere, semplicemente stare. Per dare ragione di chi non c’è più, per affermare che è sempre possibile amare, senza smettere di credere che la vita possa essere strappata all’inganno delle tenebre e riconsegnata alla luce del bene.