Amatrice. Le casette, il futuro, la notte.

Gesti che si ripetono uguali senza esserlo: «Manca la propria casa. Manca il futuro. Non c’è niente da fare», dicono, qui, quasi senza nemmeno più dolore. C’è chi aspetta domani, c’è chi non ci crede.

Le notti non hanno quasi più rumori, né luci, paiono diverse, in qualche modo sole: «tutta la vita è più sola adesso. Tutte le notti non sono più quelle di prima. Più nulla sarà come prima», raccontano.

Gli anziani si rassegnano, sanno che probabilmente loro non vedranno la nuova Amatrice. Nessuno, neanche chi è giovane, finge d’ignorare che servirà un bel po’ di tempo, «inutile illudersi», e che affrontarlo sarà difficile. Si fanno forza. Non vogliono perderla, almeno questa.

Lo Stato qui si è sempre visto e però a lungo non c’è stato. Negli ultimi mesi invece è cambiata parecchio la cittadina in qualche modo simbolo (non certo l’unica) di quel terremoto del 24 agosto 2016, prima di tre botte pesantissime con quelle che seguirono il 30 ottobre e il 18 gennaio 2017.

Specie dopo il primo anniversario le cose hanno preso a girar meglio, ad andare, se non di corsa, almeno avanti. Tanta gente vive ancora fuori e se alcuni l’hanno scelto, altri scelta non l’hanno avuta. Molti adesso hanno le loro casette, dove però problemi ci sono stati e adesso sono risolti o stanno risolvendosi.

«Fingiamo di vivere normalmente in qualcosa che non normale non è per niente», spiega Maria Teresa Cicconetti, che negli ultimi diciassette mesi aveva vissuto anche nelle tende ed è proprietaria di una delle due farmacie della cittadina: «La nostra è una vita ‘pseudonormale’, così la chiamo. Non soltanto quella nelle casette, proprio quella ad Amatrice».

Nonostante ritardi e problemi, le casette sono arrivate oltre un anno dopo, i tubi scoppiavano per il gelo, lacorrente saltava, ma qui non si lamentano troppo: «Meglio aver avuto finalmente queste che essere sbattuti da una parte all’altra», dice Valerio Taddei, che quella notte d’agosto perse la moglie e i loro due figli. Anche perché, non ci fossero state, «qui non sarebbe rimasto nessuno».

Il suo stendino è pieno di panni ad asciugare, nel piccolo salone che è anche ingresso della sua casetta. Tutte sono in fila, proprio pochi giorni fa hanno anche asfaltato una stradina che le attraversa. Un piccolo cuore rosso di legno è appeso a una tettoia e si muove col vento. Qualche piantina è stata seccata nel suo vasetto dalla nevicata d’un paio di settimane fa. Qualche targhetta in ceramica con «10 B» o «10 A», che è ‘l’indirizzo’, fa bella mostra.

Non c’è solo la paura per i tempi della ricostruzione, anche quella dello spopolamento, che «era iniziato già prima del terremoto, come in ogni paese di montagna», ricorda Maria Teresa. Qui dentro «non stai a tuo agio», racconta Simonetta Giovannelli, che nella casetta vive con la mamma anziana. «Per carità, non posso lamentarmi, nemmeno mi ha dato i problemi che altri hanno avuto». Le sue pareti sono tristemente vuote, neppure un quadro o una foto: «Non ho messo niente, qui non ho portato niente continua Simonetta – c’è solo quello che ho trovato. Non la sento mia…».

Non è facile. Non lo è affatto. «La ferita è ancora troppo fresca, i lutti sono stati troppi», sottolinea Valerio. E però nella notte amatriciana più buia e silenziosa di altre, di tanto in tanto sembra d’intravedere tra le ombre i profili dei bimbi portati via dal terremoto, di risentirne le risate, come approfittassero proprio della notte per tornare a giocare qui. Mentre sfuma la rabbia della gente. Mentre nessuna macchinas’incrocia. Dice ancora Simonetta: «Speriamo che lo Stato si dia una mossa a fare le tante cose che restano da fare, non bastano le casette, i centri commerciali riaperti e le tante macerie portate via». Maria Teresa: «Qualcosa si sta facendo. Vedremo. Se tutto continuasse con una certa solerzia, potremmo dire di non esser stati abbandonati». Come invece si sono sentiti a lungo. Perciò domani c’è davvero chi lo aspetta con fiducia e chi non ci crede. «Ci vorrà del tempo, lo sappiamo, ma penso che pian piano, prima o poi Amatrice rinascerà », secondo Valerio.

Nelle strade e di quel che ne resta respirano insieme speranza e rassegnazione, fiducia e paura. «Io spero bene… Spero. E spero che si faccia presto. Altrimenti…» e ora lo sguardo di Simonetta dice più delle parole. «Questa paradossalmente potrebbe diventare un’opportunità – aggiunge Maria Teresa -, ma certo non a breve. Il disastro è talmente grande». Valerio è ottimista anche per ciò di cui si accorge intorno a sé: «Vedo la gente si riunisce, parla, sta insieme, non dimenticando che siamo in inverno» e da queste parti è gelido, freddo davvero, le mani s’intirizzivano attraverso il centro storico alle sette di sera.

Ecco l’altro timore, infine. Forse il più grande. «I rapporti umani in alcuni casi sono migliorati – racconta Maria Teresa – ci si è sentiti da subito più solidali dopo quanto abbiamo vissuto. Però vedo anche come già stiano diminuendo…».

(il videoreportage ‘Le casette, il futuro, la notte di Amatrice’ è visibile sul sito www.avvenire.it e sul canaleyoutube) – di Pino Ciociola