Scienza

Allacciate le cinture

Un decollo a piena potenza viene adottato solo nei casi che davvero lo richiedono

Descrizione “for dummies” del decollo aereo: prendere un comune aereo di linea (es. Boeing 737), collocarlo su una pista d’aeroporto sufficientemente lunga, accendere i motori, mollare i freni, prendere velocità, prendere quota e… buon viaggio!

Beh, nella realtà probabilmente le cose sono un po’ più complicate. Di certo c’è che, sulla pista di decollo, per potersi sollevare da terra gli aerei devono anzitutto raggiungere una velocità elevata (nel caso di un Boeing 737, tra i 250 e i 290 km/h, nello spazio di circa 1 km), tale da generare una spinta ascendente in grado di contrastare la forza gravitazionale; in aggiunta, i piloti devono aumentare l’angolo di incidenza, ovvero l’angolo formato dall’ala con la direzione del flusso d’aria, mediante l’uso dei “flap” e degli “slat” (per intendersi, quelle “alette” aggiuntive che prolungano anteriormente e posteriormente le ali dell’aereo, mutandone anche la forma).

Considerando poi che il nostro Boeing 737 viaggia ad una velocità massima di crociera di circa 850 km/h, appare chiaro come il suo decollo non avvenga mai alla massima potenza, e con buone ragioni, visto che tale caratteristica è comune a quasi tutti gli aerei commerciali. Anzitutto, perché non è “fisicamente” necessario, poi perché potrebbe essere addirittura controproducente. Infatti, mantenere una potenza dei motori ridotta (la minima necessaria per alzarsi in volo), in caso di necessità, permette al pilota di poter rinunciare al decollo in sicurezza. Minore potenza dei motori vuol dire infatti minore probabilità di malfunzionamenti e aumento della controllabilità dell’aereo in caso di guasti ad un motore proprio nella fase critica del decollo. Inoltre, in alcune situazioni, ridurre la spinta propulsiva permette di decollare con un peso maggiore di quanto consentirebbe attivare la massima potenza. Al miglioramento della sicurezza, poi, si aggiunge la convenienza economica, legata ad una diminuzione dei costi; basti pensare che un motore d’aereo – il cui costo può variare tra i 5 e i 40 milioni di dollari – è soggetto a particolari stress proprio quando deve generare la massima spinta. Ovviamente, limitando la potenza nella maggior parte dei decolli, si aumenta il tempo tra le costose revisioni e si allunga la vita del motore dell’aeroplano.

Dunque, un decollo a piena potenza viene adottato solo nei casi che davvero lo richiedono. Ad ogni partenza, spetta quindi ai piloti stabilire quale sia la spinta ottimale da utilizzare per quel decollo in base a quota, lunghezza e condizioni della pista, temperatura esterna, forza e direzione del vento, pressione atmosferica e diversi altri fattori, sempre al fine di garantire la sicurezza del volo, risparmiare e inquinare meno.

A proposito di questo ultimo punto, un recente studio dell’American Chemical Society ha provato a calcolare quanto diminuirebbe l’inquinamento prodotto dagli aerei, se volassero più bassi. I risultati degli studiosi sono sorprendenti: basterebbe una percentuale minima di aerei, calcolata in circa l’1,7%, che volasse a una quota di 600 metri più bassa, per limitare notevolmente la formazione delle “scie di condensazione” (nuvole artificiali di vapore acqueo condensato che possono formarsi al passaggio degli aerei), riducendo così il loro effetto termico di ben il 59,3%! Queste scie, infatti, si formano perché alcuni aerei, viaggiando alla loro quota di crociera (in media attorno ai 10.000 metri), emettono particelle di carbonio generate da una combustione incompleta dovuta alla rarefazione dell’aria, producendo così un’ingente fonte di inquinamento atmosferico. Secondo quest’accurata ricerca degli scienziati, l’80% del riscaldamento attualmente proveniente dalle scie è generato dal solo 2,2% dei voli; incrociando rotte e corridoi di volo, si potrebbe tranquillamente abbassare la quota di crociera di circa i 2/3 di essi, riducendo in modo significativo l’inquinamento.

dal Sir