Immigrazione

«Accoglienza senza integrazione è una parola vuota»: Caritas e associazioni fanno il punto

Si è svolto a Le Tre Porte un pomeriggio dedicato all'amicizia e all'accoglienza per la giornata contro la discriminazione razziale, promosso da Caritas e cooperative dell'accoglienza

Il primo giorno di primavera, colorato a Rieti in mattinata dalla marcia di Libera in quanto Giornata nazionale in ricordo delle vittime delle mafie, ha avuto anche un altro momento dedicato al razzismo. Cade infatti, sempre, il 21 marzo, la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, nella data che ricorda il tristemente noto massacro di Sharpeville (il drammatico evento del 21 marzo del 1960, quando in Sudafrica, in pieno apartheid, la polizia aprì il fuoco su un gruppo di dimostranti di colore lasciando a terra 69 morti e 180 feriti).

Il pomeriggio, nel segno dell’amicizia e dell’accoglienza, si è svolto a “Le tre porte” – il locale di via della Verdura che, oltre a bar, ristorante e rivendita di prodotti locali, è anche punto di riferimento per momenti culturali – l’incontro formativo intitolato Affermativo, qui ce n’è uno vivo: Asylum, quando il diritto incontra l’umanità, dedicato ad approfondire il diritto di asilo e le esperienze che sul territorio si svolgono con coloro che ne fanno richiesta.

A Maria Rita Bianchetti, della cooperativa Agorà che si occupa di un Cas (centro di prima assistenza per richiedenti asilo), il compito di presentare una piccola carrellata storico-giuridica sull’accoglienza dello straniero che fugge dalla propria patria: un concetto, quello di asilo politico, che può risalire addirittura al XIV secolo a.C., quando antiche fonti testimoniano l’esperienza di un re ittita costretto a rifugiarsi in Egitto. Nell’antichità l’asilo era visto in senso religioso, come forma di accoglienza dei popoli nomadi, in tutta la tradizione religiosa monoteista. E come un institutum di carattere religioso continua a essere visto fino a tutto il medioevo. Poi in età moderna esso diventa una prerogativa del sovrano: si trattava in genere di persecuzioni di minoranze religiose. Infine, con la nascita degli stati nazionali così come sono oggi configurati, in epoca contemporanea diventa prerogativa dello Stato che la regola secondo le proprie esigenze.

La dottoressa Bianchetti ci ha tenuto a chiarire la differenza tra rifugiato e immigrato: quest’ultimo ha possibilità di scelta, il suo trasferirsi in un altro Paese è un fatto volontario, anche se spesso spinto dalla ricerca di condizioni di vita migliori. Il rifugiato, invece, è obbligato a fuggire, e se potesse tornerebbe volentieri a casa sua.

La sintesi giuridica della relatrice è partita da quella legislazione internazionale che fa parte del diritto consuetudinario, a cominciare dalla Dichiarazione universale dei diritti uomo del 1948 e dalla specifica Convenzione di Ginevra del ’51 che definisce lo status di rifugiato, stabilendo i suoi diritti e doveri. Poi per l’Europa vige la normativa comunitaria, che nel 1990 crea la Convenzione di Schengen e, per il problema specifico rifugiati, la Convenzione di Dublino; a seguire il regolamento di Dublino II e la definizione del sistema Eurodac che prevede l’identificazione attraverso le impronte digitali. Infine la normativa nazionale, partendo dal dato costituzionale: la Costituzione italiana va infatti anche più oltre rispetto alla Convenzione di Ginevra, affermando il principio che chiunque nel proprio Paese di origine non goda degli standard democratici ha diritto a ricevere asilo sul suolo italiano. Sul diritto di asilo, l’Italia non ha al momento un testo unico: occorre rifarsi alle varie tappe legislative in materia di immigrazione. E dalla legge Martelli del 1990, passando attraverso la Bossi-Fini del 2002 preceduta dal Progetto Azione Comune (dopo l’emergenza Kosovo) del 2001 si giunge alla creazione del Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati, lo Sprar. Le ultime novità sono storia recente: il decreto Minniti-Orlando dopo l’emergenza Libia nel 2017 e nel 2018 il decreto Salvini con cui si abolisce la protezione umanitaria sostituendola con i cosiddetti “casi speciali” e dallo Sprar si passa al Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati).

Dopo tale sintetica quanto chiara esposizione, la parola è passata ai rappresentanti di tre realtà che, nel territorio reatino, operano con coloro che aspirano ad ottenere lo status di rifugiati o lo hanno da poco ottenuto.

Per prima Francesca Chierici, della cooperativa Levante, che ha all’attivo la gestione di un Cas con 30 posti in quel di Cittaducale: cinque appartamenti per gli ospiti e un corso di italiano per favorirne l’inserimento. I Cas, ha spiegato, fanno riferimento al sistema di accoglienza straordinaria e sono gestiti in convenzioni con le Prefetture rispondendo agli appositi bandi d’asta. E qui arrivano i famosi 35 euro al giorno, che l’errata “diceria popolare” vuole assegnati ai rifugiati: intanto, trattandosi della base d’asta, essi possono diventare 33 o 32; di ciascuna quota alla singola persona, ha spiegato Francesca, ne vanno 2,50 (il cosiddetto pocket money), tutto il resto viene speso dal soggetto che si è aggiudicato la gara per tutta la gestione: affitti, vitto, personale, spese generali (pulizia, abbigliamento…), spese sanitarie e via dicendo. Tutto reinvestito sull’economia locale. Con la nuova legislazione, il Cas si modifica, e non certo in meglio: si riduce la quota pro capite a 21,33 euro, e cosa più negativa non sono più previste o vengono drasticamente ridotte tutte quelle cose – corsi lingua italiana, supporto psicologico, azioni di integrazione, figure di assistente sociale e mediatore culturale – che favoriscono invece la più rapida possibile integrazione nel tessuto sociale,  ridotti assistente sociale e mediatore culturale.

Dell’esperienza ormai collaudata dello Sprar, che per il Comune di Rieti vede come ente gestore la Caritas diocesana, ha parlato poi Antonella Liorni, responsabile del settore rifugiati in seno all’organismo pastorale. Esperienza che ha accumulato in questi anni una serie di attività a favore di richiedenti asilo e rifugiati nell’accoglienza scolastica, sanitaria, di integrazione per l’inserimento lavorativo e sociale (si pensi ai corsi di cucina italiana, uso del computer, tirocini formativi), venendo a costituire una risorsa per il territorio offrendo anche lavoratori. Con iniziative meritorie che hanno anche aiutato la conoscenza reciproca tra rifugiati e cittadini (si pensi a quella della ciclofficina sociale realizzata in via Sant’Agnese, o la biblioteca sociale con le scaffalature costruite dai rifugiati nel laboratorio di falegnameria e la sistemazione dei volumi dopo un apposito corso di collocazione libraria, o ancora le esperienze di laboratorio musicale e di teatro). Senza trascurare i servizi di tutela, con l’orientamento ai diritti, l’aiuto nello svolgimento di pratiche burocratiche e legali, la sensibilizzazione alla cittadinanza.

Un’altra meritoria esperienza presentata è quella del Progetto DestinAzioni, di cui ha parlato Claudio De Filippo: quattro cooperative che svolgono azioni che, ancora più con la nuova legislazione, possono favorire coloro che non possono rientrare nei percorsi dei Cas e degli Sprar, o anche chi ne sta per uscire o ne è appena uscito ma non ha ancora raggiunto una piena autonomia. Corsi di lingua italiana, assistenza legale, sostegno psicologico, laboratorio musicale e altro ancora nel pacchetto offerto dal Progetto, che vede uno sportello aperto a Rieti (a Rieti in via delle Ortensie) e altri a Poggio Mirteto, a Monterotondo, a Orte (un altro prossimo all’apertura a Tivoli).

A portare il saluto delle istituzioni, l’assessore ai Servizi sociali del Comune capoluogo, Giovanna Palomba, che ha avuto modo di apprezzare, in questo primo periodo al governo della città, il valore degli Sprar e delle altre iniziative a favore di chi fugge dalla propria terra: «Accoglienza senza integrazione è una parola vuota: quanto mai importante è favorire scambi e conoscenza tra le persone, far conoscere leggi e usanze del posto. Rieti, non va dimenticato, è una città fragile, ha anche bisogno di ricevere: dunque è importante la consapevolezza, per coloro che vengono qui accolti, che oltre a ricevere possono anche essere risorse nel dare… Ecco l’importanza che possano conoscere anche quelle criticità della città, quelle sofferenze che possono a volte spiegare anche certe diffidenze, per poterle superare insieme»

Non si poteva concludere senza far parlare qualcuno dei diretti interessati: coloro che l’accoglienza l’hanno sperimentata. Ecco le testimonianze di due rifugiati, Tarik e Baishan, il primo scappato dall’Afghanistan, il secondo rifugiato politico in fuga dalla pena di morte che, come oppositore, pendeva su di lui in Kashmir.