Chiesa i Rieti

A Terracino la veglia del ricordo e della speranza

Nono anniversario del sisma del 2016: la comunità raccolta in preghiera con il vescovo Vito. Tra memoria delle vittime e invito alla pace, l’allestimento di don Stanislao ha unito simboli di ricostruzione e segni del Giubileo

Un violino solo, accompagnato dalle immagini del territorio proiettate sullo sfondo, ha aperto la veglia di preghiera che Terracino ha ospitato per il nono anniversario del terremoto. Il borgo più alto del comune di Accumoli, sospeso a 1.100 metri tra i monti della Laga, ha accolto la comunità sotto un cielo che si è schiarito appena in tempo, lasciando intravedere un soffitto di stelle dopo la pioggia del pomeriggio.

L’altare, ideato dal parroco di Accumoli, don Stanislao Puzio, univa memoria e speranza: al centro il crocifisso di Illica, recuperato dalla chiesa crollata, sullo sfondo stoffe nei colori del Giubileo della Speranza, tese su un ponteggio a ricordare insieme la messa in sicurezza e il lavoro di ricostruzione. Accanto, un orologio fermo sulle 3.36, l’ora della scossa che ha segnato il destino di tanti.

Il sindaco ha ringraziato i presenti e il vescovo Vito, ricordando le vittime e richiamando con forza la necessità di accelerare la ricostruzione, “perché tutti possano tornare nelle proprie case”.

La veglia, guidata da don Stanislao, si è snodata lungo i misteri del Rosario, ciascuno introdotto da un tema concreto: uomini di parola, uomini di fede, gente di lavoro, uomini onesti, gente che ama. Una trama che ha unito fede e vita quotidiana, promessa e impegno, memoria e futuro.

Nelle parole finali, il vescovo Vito ha scelto di sostare sullo smarrimento e sul ritrovamento di Gesù dodicenne: «Ci sentiamo, ci siamo sentiti smarriti. Il terremoto, la sofferenza, la morte hanno provocato in noi un senso amaro di smarrimento. Abbiamo perso anche la speranza. Abbiamo perso Gesù». Ma come Maria e Giuseppe, ha aggiunto, anche le comunità ferite sono chiamate a rimettersi in cammino: «Non basta ripetere di sentirsi smarriti. Occorre rimettersi in cammino per ritrovare Gesù, per ritrovare la vita, per ritrovare la speranza. E questo è possibile, ma se lo facciamo insieme».

Il vescovo ha messo in guardia dal rischio di vivere di ripetizioni, di restare incagliati nel continuo riproporsi del vissuto: «Noi viviamo nella società del copia e incolla. Il Vangelo profuma di novità. Non è novità per la novità, ma è la novità che ha a che fare con la verità». E ha invitato a non fermarsi allo sgomento, ma a cercare un ritrovamento nuovo: «Mettiamo da parte ciò che ci divide, ciò che ci porta a isolarci. Facciamo comunità. Ne vale la pena».

Al termine, un pensiero che ha allargato l’orizzonte: l’invito a raccogliere l’appello di papa Leone, che per il giorno precedente aveva chiesto di vivere il digiuno e la preghiera per invocare pace e giustizia. Da un lato il compito quasi impossibile di pacificare i cuori verso le ferite del terremoto, dall’altro il desiderio altrettanto esigente di un superamento universale del conflitto. Un modo per raccordare la storia più intima e privata con la storia del mondo, per dare prospettiva e respiro non solo al dolore, ma anche alla speranza.

E mentre l’assemblea si scioglieva, il crocifisso sul fondale dei colori è sembrato restare a vegliare sulle case spezzate e su chi non ha smesso di credere che sia possibile ricostruire.