Nel pomeriggio Pio XII decide di salutare il popolo romano. Si tramandano aneddoti: il Papa si affaccia alla loggia e si ritrae appena vede in fondo al colonnato un tank americano, che verrà subito ritirato permettendogli così di riaffacciarsi. Un ufficiale americano che prima di varcare il limite della piazza si spoglia di elmetto, cinturone e pistola. Persone in ginocchio che piangono di gioia.
Campane a festa quel mattino del 5 giugno 1944, dopo che, la sera del giorno precedente, gli Alleati erano entrati in una Roma dalla quale i tedeschi si erano ritirati senza impegnare la temuta battaglia di retroguardia. E nel pomeriggio dello stesso giorno una folla gioiosa dilagava da ogni parte della Capitale verso piazza San Pietro per acclamare Pio XII “defensor civitatis”, il difensore della città. Si tramandano aneddoti, a proposito di quella manifestazione. Il Papa si affaccia alla loggia e si ritrae appena vede in fondo al colonnato un tank americano, che verrà subito ritirato permettendogli così di riaffacciarsi. Un ufficiale americano che prima di varcare il limite della piazza si spoglia di elmetto, cinturone e pistola. Persone in ginocchio che piangono di gioia.
“Roma è salva”, titolerà il giorno seguente “L’Osservatore Romano”. Il popolo riempirà, la domenica successiva, l’ampio sagrato berniniano, facendo sentire al Pontefice tutta la gratitudine per averlo avuto vicino nei nove mesi dell’occupazione straniera, sola e unica autorità in un Paese e in una città allo sbando. E porterà in solenne processione, qualche tempo dopo, l’immagine della Madonna del Divino Amore come “Salus Populi Romani”, alla quale si era raccomandata la gente.
Ma c’era altro, nei ricordi comuni. La dolente figura dalle braccia allargate, con la chiazza di sangue sulla tonaca bianca nel giorno in cui, il 19 luglio del 1943, il quartiere di San Lorenzo fu bombardato provocando morti e rovine. Lo strappo al protocollo (nessun’altra autorità civile ebbe il coraggio di affacciarsi sul luogo delle distruzioni) non era stato un gesto estemporaneo ma obbediva alla logica di un comportamento che accompagnava la consapevolezza del proprio ruolo alle esigenze della carità. Come sarà dimostrato da tutta la successiva opera di soccorso della Santa Sede nei confronti degli ebrei e dei perseguitati.
Resterà a lungo nella memoria della città il duro inverno 1943-44, con le sue pagine tragiche, i bombardamenti, le razzie antiebraiche, gli arresti, le torture, le esecuzioni, le stragi. Duecento sessantacinque giorni all’interno dei quali si giocherà su scala mondiale il destino della guerra e dell’Europa, e con esso quello delle comuni libertà. Roma è la prima capitale che viene sottratta a Hitler, forse perché dinanzi a Varsavia il maresciallo sovietico Rokossowski aveva fatto fermare le sue armate, permettendo che nel ghetto si consumasse lo sterminio degli ebrei da parte delle truppe tedesche. Sarà liberata a sua volta, in agosto, Parigi, e dopo poche mesi i soldati alleati violeranno il “sacro suolo” germanico, mentre da est le truppe sovietiche avranno macinato vittorie e conquiste.
Ma torniamo a Roma. “I am jew”, sono ebreo, ricordiamo di aver sentito ripetere da un ragazzo, dai grandi occhi quasi increduli, che quel 5 giugno applaudiva con noi gli americani a via del Corso, dove vedemmo sfilare un reparto di bersaglieri italiani, entrati fra i primi dalla via Flaminia. Le avanguardie americane erano arrivate la sera precedente a Piazza Venezia, verso le 18,30, senza trovare resistenza da parte dei tedeschi in fuga: a Piazza del Popolo i “GI’s” avevano scambiato un tram fermo al capolinea per un carro armato, riducendolo, per fortuna senza vittime, a un mucchio di ferraglie.
Si dovranno piangere numerosi morti, e fra essi i due gruppi di prigionieri fucilati alle porte della capitale; si ricorderà, pochi giorni dopo, Giacomo Matteotti, ucciso esattamente il 10 giugno di vent’anni prima; si rammenteranno altri martiri, don Giuseppe Morosini, Salvo D’Acquisto; i 335 barbaramente assassinati alle Fosse Ardeatine: altrettante offese alla coscienza civile e, nello stesso tempo, testimonianze nei valori della libertà e della dignità umana.
Quell’inizio di giugno (il 6 avrà inizio lo sbarco in Normandia, nel “giorno più lungo” rimasto nella storia) è stato l’alba di tempi nuovi? È indubbio che la liberazione di Roma avvenne sul crinale di mutazioni importanti. Nell’estate del 1944 persino i generali tedeschi organizzeranno il fallito attentato a Hitler che costerà cinquemila esecuzioni e l’ordine, per fortuna non sempre eseguito, “uccidete i figli del 20 luglio”. E quello stesso inverno si infrangerà l’ultimo “colpo di coda” del III Reich, la controffensiva delle Ardenne, il cui fallimento permise agli anglo americani di dilagare in Germania.
Il 4 giugno di settant’anni fa costituisce, comunque, un tornante nella storia degli italiani. Aveva avuto ragione il giornale clandestino dei giovani democristiani della capitale, “La Punta”, a uscire quel giorno, finalmente libero, con un editoriale dal titolo “Al sole”.