Quando la luce cede il passo alla sera e il cielo si fa appena dorato tra gli alberi della Valle Santa, capita – non sempre, ma capita – che le parole si fermino, e il silenzio diventi la forma più sincera della preghiera. È quanto è accaduto al termine dell’incontro “Vedere l’Apocalisse, cantare il Cantico”, ospitato questa sera al Santuario francescano de La Foresta, che ha riunito centinaia di persone attorno a un gesto semplice e radicale: la marcia silenziosa per la pace.
Nessuno slogan, nessuna bandiera. Solo il passo lento di chi sceglie di stare nella notte – quella interiore, quella del mondo – con una postura diversa, fatta di ascolto, fiducia, contemplazione. È stato questo l’invito del vescovo Vito Piccinonna, che ha moderato l’incontro e guidato il cammino: «Non usiamo segni, non gridiamo parole: proviamo a portare il peso del silenzio, quel silenzio che è lo stesso in cui vivono i bambini di Gaza, gli anziani di Kharkiv, i profughi dei tanti paesi in conflitto È il nostro no a tutte le guerre. E il nostro sì alla pace, che si costruisce nei gesti quotidiani, nella famiglia, nella strada, nel lavoro, nelle comunità, nella cura dell’altro».
Un Cantico nato al buio
A introdurre il senso del Cantico delle Creature – e la ragione profonda della marcia – sono stati fr. Mauro Botti, guardiano del convento di San Damiano ad Assisi, e la pedagogista Chiara Scardicchio, in un dialogo capace di tenere insieme spiritualità, narrazione biblica, esperienza del dolore e interrogativi contemporanei. Prima la lettura del testo, accompagnato dal suono della chitarra, affidata agli alunni del liceo Classico.
Fr. Mauro ha richiamato l’origine del Cantico nella notte della vita di Francesco: ormai cieco, provato dalla malattia e dal senso di marginalizzazione, il poverello compone il suo inno più luminoso. «Il Cantico – ha detto – è l’Apocalisse di Francesco, è la compieta della sua vita. Il canto con cui si prepara all’incontro con sorella morte». Un testo in cui la lode non nasce dalla consolazione, ma dal travaglio della fede. E dove la fraternità cosmica non è un’idea romantica, ma l’esito di una resa: quella a un amore che continua ad accogliere anche quando il corpo si consuma e i fratelli deludono.
Francesco non “canta il sole” – ha spiegato – perché la vita gli sorride, ma perché ormai guarda con gli occhi di Dio. E quando la vista si spegne, il cuore “vede benissimo”.
L’arte di contemplare nel tempo della distrazione
Chiara Scardicchio ha raccolto l’interrogativo rilanciato da fr. Mauro: è ancora possibile cantare il Cantico oggi? «Se siamo nell’Apocalisse, forse sì» – ha detto. Ma per farlo occorre abbandonare una postura che giudica, che pretende spiegazioni, che cerca un Dio utile e rassicurante, per entrare in una forma di fede che non chiede “perché”, ma dice: “Fai tu”.
Con uno stile insieme narrativo e incisivo, ha evocato scene di vita concreta – la madre stanca, il pendolare distratto, il dolore che ottunde la percezione della bellezza – per mostrare quanto la contemplazione sia diventata oggi un atto rivoluzionario. E ha denunciato, con forza quieta, la «demenza digitale» che ci sottrae memoria e attenzione, i due pilastri della salute mentale e della preghiera. «Se perdiamo la capacità di stare, di vedere, di ricordare – ha detto – perdiamo anche il centro di noi stessi. E ci lasciamo possedere dalla ferita, dal rancore, dalla paura».
Ma il Cantico di Francesco – ha aggiunto – è uno zoom-out. «È come aprire le dita sullo schermo per allargare lo sguardo. È imparare a guardare la vita dal giorno della propria morte. È sentire che la felicità non sta nel far sparire il dolore, ma nel tenere insieme lo strazio e la grazia».
Una marcia che non si vede
Dopo le parole, il silenzio. Le candele accese, i passi lenti, l’assenza scelta di simboli e colori. La marcia ha attraversato le strade tra il santuario de La Foresta e la statua di san Francesco nei pressi della Cattedrale, accendendo uno spazio interiore in cui il pensiero si fa preghiera, e la presenza una dichiarazione politica: quella di chi non rinuncia alla pace come orizzonte possibile.
«Abbiamo marciato portando insieme un silenzio pesante. Senza sapere cosa dire, ma sapendo che il cammino ha un senso. Che vale la pena opporre a ogni guerra la testardaggine della fraternità», ha osservato il vescovo al termine senza dimentirare i ringraziamenti a quanti hanno contribuito alla buona riuscita dell’iniziativa: i ragazzi del Liceo Classico, l’ASM Rieti che ha garantito la navetta, Fonte Cottorella che ha sponsorizzato la manifestazione con una fornitura di acqua, la Confraternita di Misericordia che ha assicurato il supporto sanitario. A ciascuno, in chiusura, è stata affidata una candela da portare a casa. Non come un souvenir, ma come una sfida: tenere accesa quella luce nei gesti ordinari, dove la pace può ancora nascere. Perché forse il vero miracolo non è che Francesco abbia scritto il Cantico. Ma che ancora oggi ci sia chi sceglie di cantarlo.