15. Gli organi della chiesa dell’ex convento di San Francesco

Gli organi non realizzati del 1508 e 1511

La prima notizia su un organo per la chiesa di S. Francesco di Rieti risale al 1508. L’11 gennaio di quell’anno, magister Thomas de Monte Pulciano, canonicus Reatinus, promise ai frati di S. Francesco di fare un organo secondo il disegno dato dallo stesso maestro Tommaso al padre maestro Simeone (facere organos secundum designum per ipsum magistrum Tomam datum magistro Simeoni), che era il guardiano del convento. Legname, ferro, chiodi e altro materiale a carico dei frati, i quali s’impegnavano anche a dare all’organaro, ad opera finita, 70 ducati, due quarti di grano e 4 barili di vino. L’organo doveva essere di cinque piedi; le canne esterne di stagno, quelle interne di piombo, 42 tasti e la cassa. Tempo per la consegna dieci mesi.

Ma a luglio maestro Tommaso, organaro insigne, costruttore, tra l’altro, dell’organo della cattedrale reatina (1490) e canonico e organista in carica della medesima (v.), sempre in giro per impegni professionali, si assentò da Rieti, dove tornò non prima del 1512-13.

I frati di S. Francesco, stufi di aspettare i suoi comodi, si rivolsero ad un altro organaro. E il 6 dicembre 1510, lo stesso padre maestro fra Simeone, fra Antonio Ungaro guardiano, fra Rainaldo vicario con altri confratelli del convento vennero a patti con fra Lorenzo de Alanzono de provincia Francie per la costruzione dell’organo nella loro chiesa. Il frate francese promise ai confratelli reatini di costruire un organo a regola d’arte e tutto a sue spese (facere organum bonum et recipientem ac sonorum et resonantem ad iudicium cuiuslibet magistri in arte periti, totum et integrum omnibus ipsius fratris magistri Laurentii sumptibus).

I frati di Rieti, a loro volta, s’impegnarono con lui a corrispondergli «pro manifactura et magisterio» 40 ducati, pagabili presso un depositario o banco de L’Aquila (dare banchum dicto fratri Laurentio in civitate Aquile), dove forse il frate risiedeva o aveva qualche impegno. Il pagamento sarebbe stato dilazionato in questo modo: 15 ducati nel mese corrente di dicembre, 10 a marzo e il resto ad opera compiuta. L’organo doveva essere pronto per marzo 1511. Probabilmente si voleva inaugurarlo per la Pasqua di quello stesso anno.

L’organo di breve durata di Gabriele di Piacenza

Ma quasi certamente l’opera, seppure iniziata, al termine non giunse mai, o non riuscì bene. Infatti, appena nove anni dopo, il 12 luglio 1519, il nuovo guardiano di S. Francesco, p. Giacomo del Paglio, e il maestro «Gabriel de Placentia, habitator in Subdivo (forse Subiaco), organista» vennero ad pacta et conventiones organis faciendis. Gabriele s’impegnò col padre guardiano a fare un organo perfetto (facere unum organum bonum et perfectum) a giudizio di qualsiasi esperto del mestiere (ad iudicium cuiuslibet boni et diligentis magistri prefate artis et ministerii). Doveva misurare sei piedi e mezzo e avere sei registri ben distinti l’uno dall’altro. Costo 30 ducati d’oro.

Maestro Gabriele si mise presto all’opera e già l’anno dopo l’organo doveva essere a buon punto se il convento chiese e ottenne dal Comune un contributo di 6 ducati per terminare l’opera (pro organis finiendis).

Il rifacimento del 1536

Ma inspiegabilmente, appena dopo sedici anni di servizio, lo strumento di maestro Gabriele subisce un radicale rinnovamento ad opera dei maestri organari Marco Antonio di maestro Biagio di Palma e del socio Giovanni Antonio di Giovanni di Pozzuoli, allora di stanza a Rieti e impegnati nel restauro dell’organo della cattedrale. In data 18 luglio 1536, tramite Colonatonio di Giovanni Colantoni, procuratore del convento, i due promisero ai frati di S. Francesco di rifare ex novo l’organo, che era già nella loro bottega, secondo un progetto in carta (organum facere de novo altitudinis qua nunc est iuxta designationem que est in folio), e di riporlo al suo posto entro sei mesi. I frati dovevano paghere 50 scudi. Ed è proprio questa cifra, più alta del costo iniziale dello strumento, che dà la misura dell’intervento innovatore dei due organari campani. Il convento avrebbe provveduto loro stagno, piombo e tutto il necessario, più il vitto.

Ma in corso d’opera o proprio alla fine, quando si trattava di impiantarlo nella chiesa, al maestro di Pozzuoli subentra un certo dominus Raimundus Gallus, di cui non si hanno altre notizie. La ragione non ci è nota, ma il fatto è certo, come apprendiamo dall’atto di pagamento dell’opera da parte del convento, nel quale si legge che Colantonio di Giovanni Colantoni, procuratore dei frati, consegna il denaro nelle mani del maestro Marcantonio Palma, che lo riceve per sé e a nome del socio maestro Antonio de Partenope de Regno, e il motivo del pagamento è per la sistemazione dell’organo nella chiesa di S. Francesco ad opera di maestro Marcantonio e del signor Raimondo Gallo il luogo di maestro Antonio «pro erigendo organos in dicta ecclesia, qui fuerunt erecti per dictum magistrum Marchum Antonium et dominum Raimundum Gallum pro dicto magistro Antonio».

Ma probabilmente gli elementi del vecchio organo, riciclati nel 1536, erano talmente usurati da risultare ben presto inservibili. In pratica, l’organo rifatto, dopo appena dieci anni, era fuori uso. Bisognava rimpiazzarlo con uno strumento nuovo.

Mestro Romano di ser Cristoforo di Rieti

Questa volta i frati si rivolsero a un loro concittadino, tal magister Romanus ser Christofori Simonis Ludovici de Reate, esperto nella lavorazione dei metalli e soprattutto nel fondere campane (ne aveva rifatta una per S. Agostino di Rieti nel 1531 e altre due ne aveva fuso per lo stesso convento nel 1535, queste ultime in collaborazione con maestro Giovanni Maria di maestro Giovanni di Aquila; nel 1546 ricola la campana piccola della chiesa del convento di S. Paolo di Poggio Nativo e nel 1559 fonde quella del convento di S. Mauro). Romano doveva essere un ingegnaccio che sapeva far di tutto, organi compresi. E proprio cum magistro Romano ser Christofori de Rehate vengono a patti i frati il 3 gennaio 1547. Il detto maestro Romano – recita l’atto – spontaneamente s’impegna a fare un organo in detta chiesa di S. Francesco di Rieti della misura di sette piedi, con la cassa nuova di sette registri, con il registro del flauto e con mantici nuovi, tutto a spese del convento (Prefatus Romanus – recita l’atto – sponte se obligat facere organos in dicta ecclesia S. Francisci de Rehate de mensura pedum septem et cum cassa nova cum septem registra [sic] et cum registro bifararum et cum manctacis novis, totos ad expensas conventui).

La spesa per il convento era di 50 ducati, di cui 25 subito in acconto. L’organo doveva essere pronto per la Pasqua dell’anno corrente. Ma sembra che l’opera non sia andata a compimento né per quella Pasqua, né per la successiva del ’48. Lo prova l’espressione «pro organis fiendis in ecclesia S. Francisci» (per l’organo che si doveva farenella chiesa di S. Francesco), che si legge nell’atto del 24 maggio 1548, atto con il quale i frati, tramite due procuratori, prendono accordi con l’ebanista reatino Pietro Mattiutie per la costruzione della cassa che doveva racchiuderlo. Con tale atto l’artigiano s’impegna, appunto, a fare una cassa o armadio per l’organo in costruzione nella chiesa di S. Francesco (facere, condere et edificare unam cassam seu armarium … pro organis fiendis in ecclesia S. Francisci), secondo un modello presentato. La cassa – promette – sarà pronta entro agosto, costo 24 ducati di carlini. La promessa fu fatta agli agenti del convento, Verusiano Giovenale e il già ricordato Colantonio di Giovanni Colantoni. Ma il bravo Pietro Matteucci, che quell’anno lavorava anche alla cassa dell’organo del duomo, non tiene fede alla promessa e per agosto non aveva compiuto l’opera. I procuratori del convento gli prorogano il termine a ottobre, quando probabilmente sarebbe stato pronto anche lo strumento che la cassa doveva custodire.

Il maldestro intervento di fra Leone Vitelli di Terni

Ma passano giusto vent’anni e l’organo di maestro Romano ser Christofori mostrava già i segni del tempo e perciò andava risarcito e ammodernato. A questo scopo i frati di Rieti ricorsero a un confratello di Terni, frater Leonardus Vitellius de Interamna, il quale l’11 ottobre 1567 promise ai conventuali di S. Francesco «organum dictae ecclesiae S. Francisci resarcire, benesonantem et ad perfectionem reducere iudicio in arte peritorum». Promise ancora di ammodernare lo strumento (reducere ad modernum usum), che era di sei registri (sex registrorum sonantium, ancora come nel 1519), e di mantenerlo efficiente funzionante per quattro anni. Tutto questo per 208 scudi di giuli, più piombo per le canne e argento per la parte superiore, tavole, chiodi e vitto. Consegna a dicembre.

Se non proprio per la fine del ’67, certamente l’organo era già compiuto prima del 17 settembre dell’anno seguente. Infatti, proprio quel 17 settembre 1568 fra Domenicantonio Giusti, guardiano di S. Francesco, e fra Leonardo Vitelli, di comune accordo, nominarono maestro Marino di Giovanni Bartolomei di Sulmona, organista, come perito per valutare l’organo restaurato da fra Leone (magistrum Marinum Iohannis Bartholomei de Sulmona organistam … magistrum peritum ad iudicandum organum ecclesiae S. Francisci predicti, reaptatum, ut asseritur, per dictum fratrem Leonardum).

Il maestro Marino, che, contattato in precedenza, era venuto apposta da Sulmona ed era presente all’accordo, accettò l’onere di giudicare l’operato del ternano fra Leone o Leonardo, come a volte è chiamato nel pronunciamento. E messosi subito all’opera, dopo aver ispezionato attentamente lo strumento, insieme con il costruttore di esso e con un certo frate Angelo, lunedì 20 settembre 1568, seduto su uno scranno nel convento di S. Francesco, pronunciò una ben congenata e motivata sentenza, che suonò come una solenne bocciatura per il povero frate ternano e quasi un licenziamento in tronco, anche se gli si riconoscevano le fatiche ed eventuali spese.

Era la seconda volta, dopo fra Lorenzo di Alençon (1510), che i frati di Rieti incappavano in un confratello poco esperto nell’arte o troppo frettoloso nell’operare. C’è da credere, tuttavia, che l’organo già esistente, rimodernato o meno, sia stato in qualche modo, dallo stesso fra Leonardo o da altri, rimesso in funzione e che sia lo stesso che si aggiustava di nuovo nel 1616, quando la confraternita di S. Bernardino, molto legata ai francescani, decreta di fare un’elemosina al convento «per li mastri c’hanno accomodato l’organo di S. Francesco».

Nel 1688, avendo i frati concesso ai fratelli Bartolomeo e Marziale Ciancarelli di fare un altare nella loro chiesa, «sotto l’organo, di rincontro alla cappella di S. Bonaventura», l’organo fu trasporato, a spese dei due fratelli, «sopra la cappella di S. Bonaventura, dove sono le reliquie dei Santi». I luoghi non sono facilmente individuabili, ma tanto basta per dire l’organo era ancora funzionante e che cambiava posto.

Dopo questa data non si rintracciano più documenti d’archivio al riguardo.

L’organo del 1718

Secondo un autore del secolo scorso, che però non indica la fonte, nel 1718 in S. Francesco fu fatto un nuovo organo per volontà soprattutto di P. Bonaventura Cecchini, «che arricchì il convento di molti arredi sacri, della balaustra di marmo e [appunto] dell’organo». Una notizia che possiamo prendere per buona, conoscendo l’aria di rinnovamento in questo campo che si respira a Rieti, e non solo, nel corso del Settecento. Nel 1843 fu restaurato, rimodernato e aumentato di un registro da Francesco Tossicini di Roma, come testimonia una scritta all’interno dello strumento.

Per il compianto maestro Mario Tiberti (morto a Roma nell’estate 2007), esimio organista e compositore reatino, l’organo che si trova in S. Francesco è del XVII secolo (ma forse voleva scrivere XVIII), e per lui, che più volte lo suonò, era uno «strumento dai registri meravigliosi». Oggi è muto, ma possiamo ancora ammirane l’«imponente struttura – sono parole del Tiberti – posta sul transetto destro sopra l’ingresso dell’attuale sagrestia».