Nascere a favore di telecamera

Su Mtv “16 anni e incinta-Italia” e su Real Tv “Partorirò tuo figlio”

È ormai in onda da qualche tempo su Mtv “16 anni e incinta”, programma televisivo trasmesso per la prima volta negli Usa nel 2009 e oggi stabilmente approdato anche nel palinsesto italiano. Si tratta di un reality show che descrive le vicende di ragazze madri in attesa, dai quattro-cinque mesi di gravidanza fino alla nascita del bambino.

Dal 2013 la stessa emittente ha lanciato “16 anni e incinta – Italia”, programma che ha per protagoniste sei ragazze di età compresa fra i 15 e i 19 anni, provenienti da diverse regioni italiane, le cui storie sono raccontate da due puntate di 40 minuti dedicate alla storia di ciascuna di loro. Ogni puntata si apre con la breve presentazione della protagonista e della sua gravidanza, evidenzia il cambiamento della giovane madre nella frequenza scolastica e nei rapporti con famigliari, amici e conoscenti e la narrazione prosegue fino ai primi 3-4 mesi del bambino. Il quaderno personale in cui la giovane mamma annota le proprie emozioni completa il format.

Su un filone narrativo simile si sviluppa su Real Tv “Partorirò tuo figlio”, una serie che racconta le storie di future mamme che si preparano a dare i loro bambini – non ancora nati – in adozione. Nonostante siano determinate a garantire un futuro sereno ai nascituri, le donne protagoniste esprimono le proprie motivazioni per dare il figlio in adozione. Da Mary che, per salvare il matrimonio, cerca una famiglia per il figlio suo e del suo amante, a Claudia, spaventata dall’idea di essere una madre single, ad Amanda, che ha addirittura deciso di dare il bambino in adozione a una coppia gay.

Sappiamo che sotto il filone della “tv-verità” sono state da tempo sdoganate anche le proposte televisive più scabrose e che ormai poco o nulla è rimasto dei tabù tradizionali. In questi casi, ancora una volta, la differenza non è fra il trattare o meno certi argomenti – che pure appartengono alla vita sociale contemporanea – ma nella misura e nel modo.

La proposta di programmi che raccontano situazioni insolite facendole passare con sempre maggior frequenza come “normali” fa sì che il pubblico rischi di perdere il senso del confine fra ciò che è naturale e ciò che non lo è. Soprattutto, ammantando di istanze spettacolari le narrazioni di vicende personali anche travagliate, finisce per rendere lo sguardo degli spettatori distratto e superficiale rispetto a temi o problemi che meriterebbero un approccio critico più profondo.

Se, da un lato, i difensori di programmi come quelli citati sostengono che essi possano contribuire a rassicurare le ragazze madri o le donne in attesa di bambini che non vogliono tenere con sé, dall’altro per la fascia di pubblico femminile in età adolescenziale l’identificazione con le giovani protagoniste rischia di essere fuorviante.

Quello che manca, in particolare, è un razionale filtro di commento che, oltre a raccontare in presa diretta l’esistenza quotidiana delle protagoniste, possa permettere agli spettatori quel necessario distacco critico per valutare le situazioni anche con un minimo di razionalità e non soltanto sull’onda dell’emotività inevitabilmente generata da contenuti e modalità della rappresentazione.

Restano la tenerezza e la compassione per nascituri e neonati, la cui vita è sotto i riflettori fin dal loro concepimento e che, già destinati a un’esistenza non facile date le condizioni di partenza, sono connotati più spesso come bambolotti o – peggio – come “oggetti” a cui trovare un posto nella routine quotidiana che come creature che si affacciano al mondo.