In famiglia

Una vita da mediano

È bello vedere nell’apostolo Andrea un uomo che si fa “ponte” della Parola, che sa condividerla senza trattenerla, in umile spirito di servizio

È interessante notare come Gesù, secondo quanto ci racconta il Vangelo di Giovanni, rivolga le sue prime parole a due uomini che hanno dei fratelli, i cui legami famigliari sono determinanti nel loro seguire il Messia. Questi uomini sono Giovanni e Andrea, due persone verosimilmente “in ricerca”, desiderose di dare un senso profondo alla loro vita, affamati di bello e di giustizia e che, per questo, hanno scelto di seguire Giovanni Battista nella sua predicazione itinerante.

Quando questi “fissa lo sguardo” su Gesù – chissà se si erano mai incontrati altre volte o se si erano parlati, da quel miracoloso riconoscimento negli uteri delle loro madri? – e lo indica come l’agnello di Dio che da tempo il popolo di Israele attendeva, i due non indugiano, lasciano il primo maestro e seguono il secondo che subito li interpella con quella domanda che è rivolta a noi ogni giorno: “Che cosa cercate?”. Stanno con lui, passano del tempo con Gesù, gli parlano, vedono dove e come vive, poi Andrea – pare di vederlo, nella sua gioiosa impazienza – prende e corre da suo fratello Simone per dargli un vero e proprio annuncio: “Abbiamo trovato il Messia!” e lo conduce da Lui. Dunque, l’embrione dell’evangelizzazione nasce fra due fratelli, uno dei legami più stretti che si ha la possibilità di vivere.

Simone, su cui Gesù fissa lo sguardo come se lo conoscesse da sempre e a cui dà il nome, ovvero lo fa rinascere come Cefa/Pietro, giunge davanti al Signore grazie all’amore e all’entusiasmo di un fratello – un fratello minore probabilmente – che non aveva voluto restare con lui a lavorare come pescatore sulle barche del padre. Sembra che l’attrazione di Gesù, il suo sguardo penetrante, il suo amore stesso possano attecchire sul terreno di una relazione fraterna che non può essere esclusa dall’annuncio. Così come il suo primo rabbì, il Battista, dirà che “Lui deve crescere; io, invece, diminuire (Gv 3, 30), anche Andrea non ha paura di abbassarsi nell’atto della condivisione della grande scoperta che ha fatto, non tiene per sé gelosamente quel Gesù che ha incontrato, ma gli conduce il fratello, senza probabilmente immaginare che Simon Pietro lo avrebbe sopravanzato in responsabilità, divenendo il “maggiore” dei Dodici.

È questa liberalità che non possiamo non riconoscere in Andrea: è un uomo generoso, entusiasta, che non considera un tesoro geloso la sua fede, ma è pronto subito a condividerla, a mettersi in comunicazione con l’altro. Sempre l’evangelista Giovanni cita Andrea in occasione della moltiplicazione dei pani e dei pesci e gli attribuisce quella domanda di grande umanità e realismo in cui tante volte ci siamo immedesimati, in occasione dei nostri dubbi e delle nostre preoccupazioni sul da farsi: “cosa sono cinque pani d’orzo e due pesci per tanta gente?” (Gv 6, 9).

Chissà quanto silenzioso stupore, quanta contemplazione di quel segno così grande mentre si raccoglievano le dodici ceste con gli avanzi? Non abbiamo parole, non abbiamo protagonismi, ma c’è da immaginare che Andrea si sia stretto al Maestro e forse gli abbia sussurrato il suo imbarazzo prima e poi la sua rinnovata fiducia, il suo desiderio di stare con Lui, fidarsi definitivamente e raccontare la bella notizia che stava vivendo. Infine, sempre l’evangelista Giovanni ci dà un’informazione che sembra un dettaglio ma può avere una sua importanza. Arrivati a Gerusalemme per la Pasqua, i dodici sono in procinto di andare a consumare la cena nella stanza che è stata preparata per loro… fra la folla ci sono anche dei Greci, degli stranieri, persone che non avrebbero nessun diritto di partecipare ai riti che i membri del popolo ebraico sono soliti compiere per quella festa. Ebbene, questi vogliono “vedere” Gesù e contattano Filippo e Filippo, probabilmente un po’ perplesso, interpella Andrea e così insieme vanno a disturbare il diretto interessato (Gv 12, 20-22).

Pare di vedere questo passaggio di consegne fra i due discepoli: forse c’è del timore, forse vale il principio che “l’unione fa la forza”, o forse più semplicemente Andrea è più in confidenza col Maestro e Filippo, sapendolo, chiede un aiuto. Andrea ancora una volta non tiene per sé il Signore, ma si fa interprete di un desiderio di conoscenza che viene da lontano e precorre i tempi, perché i Greci non erano certo contemplati in quel momento da un pio ebreo come destinatari della salvezza.

Quanto dovrà navigare e predicare Paolo per rendere persuasi i primi cristiani ebrei, poi convinti definitivamente dall’esperienza di Pietro, che Gesù è morto e risorto per tutti, anche per i “gentili”!? (At 10, 34-35: “Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”). È bello, dunque, vedere nell’apostolo Andrea un uomo che si fa “ponte” della Parola, che sa condividerla senza trattenerla, in umile spirito di servizio.

Con un pizzico di libertà potrei dire che Andrea è felice del suo ruolo di mediano – il richiamo è alla celebre canzone di Ligabue – non è il giocatore dal goal rocambolesco, non sta sotto i riflettori, però sa passare bene la palla, che sia al suo fratello, il capitano Pietro, o a dei giocatori stranieri, i Greci che chiedono di Gesù: Andrea è al servizio della squadra e del messaggio che non può essere taciuto, è un uomo di parola e della Parola, perché sia annunciata dai tetti e corra fino ai confini della terra.

dal Sir